Stiamo per salutare il 2019, un anno complicato, un anno in cui la crisi economica e umana ha caratterizzato la nostra vita. La vita fatta di momenti, di giorni, mesi ed ore, ma ci sono vite che il cui scorrere del tempo è regolato da altre dinamiche. Le statistiche dicono che ci sono sempre più single, nascite sempre in calo e siamo sempre più un paese di “diversamente giovani”, la famiglia un antico ricordo.
Un mondo diverso in cui la solitudine la fa da padrone, insieme alla solitudine anche l’egoismo. Nel frattempo sulle coste europee e non solo arrivano famiglie, bambini soli, donne e giovani, arriva la vita. La nostra risposta è controversa e contraddittoria, così nasce una conversazione con Alfredo Nazzaro, medico, ginecologo sannita che in questi mesi mi ha permesso di raccontare e vivere attraverso la sua esperienza i campi profughi greci, con la missione di Stay Human Odv. Il tempo è l’argomento su cui abbiamo scelto di riflettere, il tempo che spesso sprechiamo, a cui spesso non diamo grande valore, il tempo che scorre mentre noi non facciamo niente per modificarlo.
E così mentre il sole e il freddo ci accompagnano nelle feste, decidiamo di non mollare e tenere accesa la luce sugli “ultimi” su “loro” su chi erroneamente consideriamo “diversi e distanti da noi”.
“Dio non solo gioca a scacchi, ma li getta dove non possono essere visti”, così Stephen Hawking rispondeva indirettamente ad Einstein ed alla sua pretesa che tutto, nell’Universo, fosse regolato dalle leggi della meccanica “classica” secondo un ordinato binomio. Saggezza e follia scientifica di uno dei grandi protagonisti del’ 900 molto amato da Nazzaro, che nel periodo di studi trascorso a Cambridge, trovava sempre il tempo per andare ad ascoltarlo.
Hawking prediligeva far ruotare tutto intorno al principio di indeterminazione ed al concetto di tempo. Un tempo che, secondo il suo pensiero, non aveva più un inizio certo, e che forse non aveva neanche più una fine, e che si confrontava con un Universo che non procedeva linearmente ma era regolato dalle leggi dell’entropia. Si procedeva in maniera un po’ disordinata, insomma. E così faceva anche il tempo. E così succede anche nel Campo di Vial, a Chios.
In un qualsiasi posto della terra, uno si aspetterebbe che la vita ed il suo scorrere siano regolati da un inizio ed una fine. Nei campi profughi non è così. Le nozioni di spazio e tempo si confondono e si intrecciano. L’uno piega l’altro secondo le sue coordinate e tutto quello che vi entra ne viene inghiottito. In quei campi il tempo diventa un “tempo immaginario” che si sviluppa secondo una direzione diversa rispetto al tempo classico, assume una dimensione spaziale ed in quel tempo e’ possibile muoversi avanti ed indietro, così come si può fare nello spazio, ma in maniera “caotica” e, in ogni caso, indietro non si torna.
Il tempo diventa un luogo “fisico”, nei campi definiti di “accoglienza”. Esattamente come avviene per le vite ed i pensieri dei profughi che ne rimangono intrappolati. Una volta che sei entrato in un campo, da profugo, il tempo perde il suo significato. La tua vita è come cristallizzata. Sei in una bolla a-temporale che viene condizionata dallo spazio in cui sei costretto a vivere e che, a sua volta, condiziona quello spazio che diventa metafisico. Si costruisce un rapporto speciale con il tempo, assecondando una forma di resilienza spontanea che i profughi sviluppano per sopravvivere. D’altra parte a cosa ti servirebbe, in quei campi, un tempo “classico”? Non hai dove tornare e non hai neanche la speranza concreta di una futura Itaca alle cui coste attraccare e riposare. Sei immerso in una condizione di massima entropia, la tua vita si sviluppa in maniera confusa e disordinata, non hai più coordinate precise e, per ogni punto fermo che conquisti faticosamente, si generano innumerevoli situazioni imprevedibili e non misurabili. Sono luoghi che diventano come un tappeto elastico che si piega sotto il peso dei nuovi, quotidiani, incessanti arrivi impedendo da allora in poi, a quelle vite, di procedere linearmente. I confini si tramutano in moderni “orizzonti degli eventi” confini oltre i quali, così come avviene per i buchi neri, sarebbe prudente non avventurarsi.
In effetti, in condizioni normali, nessuno oltrepasserebbe quei confini, probabilmente neanche ci si avvicinerebbe, ma i campi non sono luoghi normali, non lo sono nè per chi è costretto a viverci, nè per chi si avvicina per (provare ad) aiutare. Gli orologi di chiunque sia giunto ai confini di quegli orizzonti si fermano in un istante eterno, dissociando lo scorrere delle vite reali dall’aspettativa e dalla speranza di un futuro migliore.
Ecco il tempo per chi ci ha messo anni, mesi per raccogliere i soldi per la traversata, per chi è nato sognando di partire, per chi ha contato minuti e secondi prima di approdare, per chi ha deciso che il tempo gli avrebbe dato ragione, per chi ha dato al tempo un significato diverso. Noi che da lontano li guardiamo, proviamo molto spesso a fermare il tempo, nelle maniere più banali e superficiali, ringiovanendo, sperando di sconfiggere gli anni che passano con banali attenzioni per noi stessi, il tempo per noi va rincorso e non vissuto. Dovremmo fermarci, viverlo, viverlo anche per chi, come racconta Alfredo Nazzaro non può tornare indietro ma non può neanche andare avanti, chi tra cancelli, filo spinato, scogli e polizia ha confini invalicabili.
Stasera brinderemo all’anno che ci lascia e all’anno che arriverà, con il sorriso come è giusto che sia festeggeremo, ma vi prego non spegniamo la luce sugli “ultimi”, non dimentichiamo che per “loro” gli anni sono tutti uguali, sono sofferenze che si prolungano, che le nostre luci non sono visibili in quei luoghi. Non serve il finto buonismo serve prendere coscienza, serve raccontare e parlarne, spiegare e leggere negli occhi di chi non ha scelto, ma vive in un campo, in una tenda, oppure in fuga perenne, braccato e nascosto.
Il tempo non aspetta e non si può fermare, ma i muri, le barriere, l’odio e la disperazione possono essere fermati e potremmo dedicare una piccola parte del nostro tempo per farlo.
Per il momento, per dirla con le parole di Hawking:“[ognuno di noi] potrebbe essere rinchiuso dentro un guscio di noce e tuttavia sentirsi re dell’infinito spazio”. AUGURI DI BUONA VITA!
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