La coltivazione del pelo, capelli e barba, attività molto praticata dalle giovani generazioni, è forse un termine lezioso e irriverente, soprattutto se si mette in relazione con i secoli passati.
Quando si raffigura l’uomo primitivo gli si attribuiscono lunghi capelli e lunga barba, ma se invece risaliamo all’antico Egitto, alla guerra di Troia, e poi alla civiltà greca e romana, troviamo dipinti e le statue con uomini dai capelli tagliati e la barba curata o rasata. Gli uomini di quelle grandi civiltà volevano offrire di sé un aspetto gradevole, curato, pulito, seppure maschio, garanzia di qualità ed affidabilità. Le effigi tombali degli Egizi e degli Etruschi raffigurano personaggi con volti imberbi e capigliatura in genere corta e coperta dai cappelli dell’epoca. Il busto di Giulio Cesare, storico maschio per eccellenza, lo raffigura con i lineamenti marcati, lo sguardo dritto, il sorriso appena accennato, il viso sbarbato, i capelli corti. E dopo Cesare analoghe caratteristiche sono riportate nei tanti busti imperiali della lunga civiltà romana della quale culturalmente dovremmo essere eredi.
Le vere barbe compaiono nella pittura sacra dell’inizio del secondo millennio dopo Cristo, per indicare l’autorità del Signore: ovviamente non è ritrattistica, ma volo di fantasia. Anche Carlo Magno Imperatore del Sacro Romano Impero è sempre dipinto con corona e barba fluente e curata.
Risalendo nei secoli arriviamo al Rinascimento quando Leonardo da Vinci dipinse il proprio autoritratto con grande barba e lunghi capelli, ma era un artista! Negli anni che seguirono arriviamo all’uso delle parrucche per uomini e donne che ovviamente coprivano capigliature corte. La barba ricompare nell’ottocento: tutti i Savoia avevano la barba, ma nel novecento l’ultimo erede, il piccolo Vittorio Emanuele III, preferì il viso sbarbato ed i capelli corti. E gli italiani seguirono l’esempio del loro Re. La tradizione continuò nella Repubblica sino alla fine del ventesimo secolo.
La storia si inverte col 21° secolo e non solo per barba e capelli: il rapporto uomo- donna tende a modificarsi, le donne accedono ai mestieri storicamente maschili, gli uomini accettano per legge la paternità come assenza dal lavoro per la cura dei neonati, spariscono i tabù sessuali. Le donne vestono con pantaloni e giacca, fumano mentre i maschi abbandonano le sigarette, scelgono i capelli corti, mentre i maschi giovani se li lasciano crescere almeno un po’ per essere più affascinanti.
Ma il cambio del costume finisce con rasentare il ridicolo e l’orrido, proprio nel taglio dei capelli e la leadership del settore passa dagli artisti ai calciatori. Compaiono le creste: incredibilmente il modello di riferimento non è più il leone, ma il gallo, o forse il pavone. Creste gialle, rosse, policrome, da Napoli, Milano, Torino, Parigi, Barcellona, eccetera eccetera. E poi trecce, treccine caraibiche, codini e code di tipo femminile. Dalle creste si passa i geroglifici: gran lavoro per i barbieri tracciare su crani, probabilmente vuoti sul piano contenutistico, righe a taglio zero, trasversali, orizzontali, parziali, totali, intrecciate. Piano piano la rasatura investe le pareti laterali del cranio, probabilmente sempre più vuoto, ed i capelli residui della volta assumono l’aspetto di un coperchio. L’esempio dei calciatori investe i giovani delle periferie delle grandi città e dei paesi, ovunque in Europa. Gran lavoro per i barbieri, il loro periodo di magra degli anni ‘80 quando imperava la moda dei capelli lunghi, importata dai calciatori sudamericani, è finita. E come non bastasse questa cultura-incultura coinvolge la barba che nella quasi totalità dei casi è incolta e più o meno lunga. In questa maniera dei ragazzi che pure passano parte del loro tempo sotto le docce degli spogliatoi, riescono a sembrare trasandati e sporchi!
La cultura dei muscoli, che sarebbe più normale per degli atleti, è caduta in disuso, quella dell’attività cerebrale ha sempre trovato poco, anzi pochissimo spazio in quel contesto.
La cultura ossia l’incultura dominante sui campi di calcio oggi è quella del pelo, ossia dei capelli di varia foggia e colore su teste poco abitate, e della barba incolta od anche lunga da nobile decaduto o meglio da homeless.
E per finire sul piano della diseducazione delle giovani generazioni attraverso le immagini televisive di infinite partite di calcio, la incultura del pelo di questi leader opinion in mutande si accompagna a quella della pelle trasformata in una lavagna, dal collo alle caviglie per orribili tatuaggi multicolori che testimoniano, e testimonieranno vita natural durante, il disimpegno intellettuale di costoro.
Ma perché le Società calcistiche non intervengono per il loro decoro e la potente Federazione Gioco Calcio si interessa solo dei “Buu” razzisti provenienti dalle curve degli Stadi di tutta Italia e degli sputi tra i protagonisti dello spettacolo?
Oggi a 70 anni dalla tragedia di Superga, ricordiamo con commozione quell’esempio luminoso che furono per lo sport italiano, e non solo, i giovani straordinari calciatori del Grande Torino. Perché quell’esempio viene ricordato una volta l’anno mentre ogni domenica e tanti mercoledì sui campi di calcio vive una storia molto diversa? Perché nessuna voce si leva a difendere almeno la dignità formale del seguitissimo Campionato di Calcio abbandonato, tra l’altro, alla incultura del pelo e dei tatuaggi?
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