E’ difficile comprendere il male, ancor più arduo cercare di darne una spiegazione.
Ma la scienza umana, la criminologia in particolare, hanno fatto passi da giganti, individuando quegli aspetti del comportamento che possono essere scrutati quali indici predittivi di future condotte violente.
Fra questi spicca la violenza sugli animali, reato aberrante già di per sé, ma altresì indice premonitore di una quasi certa escalation di violenza che, nel futuro, si rivolgerà verso essere umani.
Un fenomeno questo ancora poco percepito, che va sotto il nome di link e che ha trovato negli Stati Uniti, a partire dal secolo scorso, terreno fertile con studi, osservazione scientifica e politica criminale ad hoc.
Del resto a confermarlo è la stessa Triade di MacDonald elaborata nel 1963, nota anche come triade dell’assassino, che annovera, unitamente alla piromania e all’enuresi notturna, lo zoosadismo (ovvero la crudeltà sugli animali), quale indice per l’individuazione in chiave predittiva di una personalità criminale.
Non è allora un caso che in numerose biografie di serial killers, si rinvengono vissuti problematici, di frustrazione, rabbia, solitudine familiare inizialmente sfociata con violenza su animali.
Da Ted Bundy, al cannibale di Milwake, solo per citarne alcuni tra i più feroci, si rinviene quel particolare disturbo psichico, noto come zoosadismo, che spinge l’uomo a trovare piacere nell’infliggere ed osservare sofferenza o morte ad un animale.
In Italia il link, quale fenomeno criminologico, è giunto con notevole ritardo. La prima indagine che risale al 2015-2016, è stata condotta con metodo introspettivo sulla popolazione carceraria, chiedendo anonimamente se i carcerati in passato avessero agito o assistito ad episodi di violenza.
I risultati tristemente strabilianti, hanno confermato che il 61% dei detenuti aveva in adolescenza maltrattato o ucciso un animale e che l’89% aveva quantomeno assistito ad un maltrattamento.
Ma perché gli animali diventano le prime vittime sulle quali, i futuri serial killers, scagliano la propria violenza?
Prima di tutto perché l’animale è, di norma, una vittima controllabile, sulla quale è quindi più agevole trasferire la frustrazione provata dal cannibale; le dimensioni spesso ridotte dell’animale, poi, inducono l’offender a ritenere con elevata certezza che riuscirà a portare a termine il suo piano. Infine, l’animale si presenta come un ottimo “allenamento” per la preda futura, quella umana, individuata normalmente in soggetti deboli o emarginati, sui quali il criminale trasferirà il background appreso.
Questo ci fa comprendere come un intervento preventivo è l’unica chiave di volta nella lotta non solo alla violenza animale, ma alla violenza in genere.
Moltissimi dei reati che ancora oggi vengono perpetrati in danno di soggetti particolarmente deboli o discriminati, come donne, bambini, prostitute ecc., potrebbero essere prevenuti se solo si adottassero politiche di intercettazione degli indici di predizione già durante la preadolescenza, attraverso campagne di informazione e sensibilizzazione che insegnino il rispetto e l’accoglimento della diversità.
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