Dio salvi la Regina – di Andrés Arce Maldonado. Con Sibilla Barbieri, Mariano Rigillo, Igor Mattei, Babak Karimi, Vittorio Allegra – Italia 2020
Diana (Barbieri) è un medico della Asl, è separata e vive con due figli, Orlando (Allegra) studiosissimo ma insofferente della disciplina scolastica e dei voti e Perla (Ella Gorini) che è in piena tempesta adolescenziale. La sua vita familiare è normalmente complicata – i figli da accompagnare, la scuola che non fa nessuno sforzo per capire i ragazzi, il condominio perpetuamente ostile – e la sua vita professionale sostanzialmente insoddisfacente: lei vorrebbe fare seriamente il medico ma i suoi pazienti o le chiedono ingiustificati certificati di malattia o sono come l’ipocondriaco ingegner Braccialetti (Alberto Caneva), che – spalleggiato dalla materna e sofferente moglie (Paola Muratore) -pretende visite, consulti e ricoveri per malattie inesistenti.
Un giorno, stanca di tutto quello che non funziona, va dal padre (Rigillo), prestigioso avvocato divorzista e gli chiede come può fare a fondare in casa propria uno Stato indipendente. L’Avvocato (così rispettosamente tutti lo chiamano) cerca di dissuaderla ma lei non si dà per vinta: manda un esposto al Presidente della Repubblica e a tutte le autorità competenti con la quale chiede che al suo appartamento sia riconosciuta la dignità di Stato e, proclamandosi Regina, issa sul terrazzo una bandiera azzurra, decidendo che al suo interno campeggi un animale dello stesso colore (via via uno diverso: un uccello, un delfino, un elefante, tutti rigorosamente azzurri).
Partecipano, con diversi gradi di entusiasmo, al progetto i figli, il fratello Marcello (Mattei) – che ha da qualche tempo di deciso di vivere nella natura, senza lavorare e ha troncato il legame con la sua compagna Rosa (Ana Brigitte Fernandez) – le sua amiche Elena – innamorata di un uomo sposato (Vittorio Ciardo) e in costante attesa che lui lasci la moglie – e Sam – che in ogni situazione trova e sottolinea un contenuto sessuale – e la colf sudamericana Lupe (Maria Irma Reyas) alla quale piace comunque il casino. Marcello è, ovviamente, il più partecipativo al progetto e si piazza con una tenda canadese sul terrazzo della sorella, mentre Rosa – che spera di riconquistarlo – si presenta a casa ad ogni occasione; Orlando comunica che da quel momento non andrà più a scuola e, quando la madre gli comunica che non gli darà più da mangiare, la sorella lo segue in una sorta di sciopero della fame (naturalmente Lupe provvederà a dar loro di nascosto i manicaretti che cucina).
Sarà il nonno a risolvere la situazione: porta a cena il nipote e, con il realismo di uomo navigato, gli prospetta le dura alternative che il rifiuto di un regolare corso di studi gli aprirebbero, convincendolo a tornare al liceo. Diana litiga con il condominio per via della bandiera che copre l’antenna centrale e trova un’inaspettata complicità nel Professore (Filippo Gili), uno scorbutico vicino che la intrigava. Elena, intanto, va da Diana e comunica di aver aggredito l’amante e di averlo lasciato, salvo, quando lui si presenta in casa, passare la notte con lui sul divano. La professoressa (Raffaella D’avella) di Orlando ha deciso di bocciarlo e quando lo comunica a Diana, lei per nulla contrariata dichiara di essere fiera dell’indipendenza del figlio.
Tutto finirà in una festa nell’appartamento/regno di Diana, nel quale hanno trovato rifugio anche l’ingegnere distrutto dalla morte della moglie, autenticamente malata, e un simpatico Apolide (Karimi) in cerca di uno Stato a sua misura. La favola finisce ma la voglia di libertà di Diana e dei suoi “sudditi” no.
Sibilla Barbieri, poliedrica artista, questo film lo ha scritto, prodotto ed interpretato ma – contrariamente a quanto spesso avviene in questi casi – ha messo insieme un cast di grande sapienza attoriale e lo ha affidato ad un regista esperto, il quale, a sua volta, ha saggiamente deciso di mettersi al servizio della storia senza sbavature d’autore. Il risultato è una sorta di comédie de boulevard teneramente anarchica, che è una bella novità in un panorama di fasulle post-commedie all’italiana intrise di conformistico moralismo.
Ciascuno degli attori meriterebbe una menzione ma ci si può limitare a segnalare la efficacissima presenza di Mariano Rigillo (“Quando ha accettato sono quasi svenuta” dice l’autrice), di Babak Karimi (Orso d’Argento a Berlino per Una separazione di Asghar Farhadi, che ha vinto l’Oscar nel 2012) e, in piccolo, buffo ruolo, di Jun Ichikawa (la protagonista di Cantando dietro i paraventi di Ermanno Olmi). Non si può, però, non concentrare l’attenzione su come Simona Barbieri riesca a magnetizzare costantemente lo sguardo e le emozioni del pubblico e Igor Mattei dia un segnale forte nella direzione della commedia alla francese, riuscendo a sfuggire al tranello di un facile chaplinismo (nel quale attori meno esperti e profondi avrebbero rinchiuso il drop-out Marcello), trovando i toni del Jean Gabin di Archimede il clochard o del Michel Simon di Boudou salvato dalle acque.
E’ naturale che un film così indipendente e personale abbia dei difetti – quasi tutti dovuti alle limitazioni di budget – ma il risultato è un’opera frasca, divertente e, vivaddio, lontana dai provincialismi, spesso ideologici, del nostro cinema.
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