A questa domanda, posta dal Vaticano circa 10 anni fa, hanno risposto di sì più o meno 25 ml di persone in tutto il mondo. Un risultato incredibile ed una pole position che distanzia di milioni di sì tutti gli altri santi del martirologio. Risultato strabiliante difficile da spiegare con la fede, visto che risulta essere il più amato anche in paesi non cattolici, quindi indipendentemente dall’aspetto religioso.
Eppure, a ben vedere, quanti ne conoscono davvero la storia, il mito, le sue radici, le molteplici forme? Quanti vanno oltre l’aspetto popolar-folklorico del miracolo?
La sua storia, lungi dallo svolgersi intorno al 300 d.C., periodo nel quale più o meno lo colloca la religione, ha origini molto più antiche radicate nelle varie culture che hanno fertilizzato la nostra terra, in quelle epoche remote popolate da angeli, divinità e saperi che hanno tessuto la storia del mondo e anche di Napoli che le ha accolte tutte.
E come tutte le storie, anche questa comincia con il C’era una volta….
C’era una volta, prima di ogni cosa, prima del giorno e la notte, del tempo e dello spazio, un Germe d’Oro, un Uovo Cosmico perfetto, luminoso, Sole della Vita, da cui nacquero i quattro elementi che diedero origine alle terre e ai mari.
Questo è il big bang, la creazione dell’Universo raccontata nella tradizione orfica-greca, ma anche in quella sumerica, nella mitologia babilonese, nelle tradizioni induista e taoista. E c’era una volta, e c’è ancora oggi, una terra assai speciale, una terra dove Acqua e Fuoco si incontrarono con Terra e Aria in un equilibrio praticamente perfetto. Napoli.
L’origine di Gennaro comincia da qui, dall’imprimatur sacro che questa terra speciale ha ricevuto dai suoi genitori, raccontato dalle pietre che ne conservano la memoria, trasmesso attraverso miti e leggende che l’hanno resa immortale. E la sua storia, come quella del Patrono, parla di personaggi, accadimenti e miti ponendoli sullo stesso piano perché, in fondo, un mito non è altro che una narrazione ammantata di sacralità, un racconto metaforico di ciò che la mente razionale spesso non è in grado di comprendere, una favola che svela elementi di verità tessuti con la fantasia.
Napoli, dunque, è una terra speciale fecondata da due esseri divini, uno femminile e uno maschile, che ne hanno determinato il destino. Una terra che conserva ancora oggi l’animus e l’anima, nonostante la seconda sia stata oggetto di costante svilimento e demonizzazione negli ultimi due millenni; una terra àtanor che accoglie senza giudicare e trasforma senza snaturare. Una terra dove Kronos e Kairòs riescono a convivere.
La sua prima essenza, la madre sacra, è una Sirena, essere divino che molto prima di avere la coda di pesce era rappresentata col busto di donna e il corpo di rapace. Era dunque una donna con le ali che parlava la lingua mistica e divina degli uccelli, messaggeri tra il cielo e la terra e portatori di conoscenza spirituale; è Parthenope, una donna con la coda di pesce, che col suo canto svela la conoscenza del profondo lasciando poi che gli uomini, incapaci di comprenderla, impazziscano.
La seconda essenza, il padre sacro, è un antichissimo dio della religione zoroastriana, Mitra, il cui culto si è radicato in Persia intorno al VI secolo a.C., per arrivare poi sulle nostre coste, con l’espansione dell’Impero Romano, nel II secolo a.C.
Nato da un uovo di pietra e conosciuto anche come Sol Invictus, Mitra dà origine al primo culto monoteista attivo fino alla fine del 300, quando si è strutturato il Cristianesimo.
Mitra, dio del patto, questo il significato del suo nome, per proteggere il mondo uccide il toro sacro, con il suo sangue feconda la terra che crea la vite e con il midollo genera il grano, espressione materiale dell’Oro del Sole.
I Mitrei sono nelle grotte e, guarda caso, proprio alle spalle dell’altare di San Gennaro nella sua Cappella, c’è il Mitreo di San Carminiello ai Mannesi.
Ma Gennaro ancora non esiste e qualcun altro ha espresso la stessa essenza acquisendo il ruolo di Nume tutelare. È Virgilio, sommo poeta ma anche seguace dei culti Isiaci, il femminile sacro, e straordinario Mago cui si sono rivolti per oltre 1300 anni i napoletani per essere protetti. È Virgilio, per molti incarnazione della Sirena, che dona alla Regina Giovanna un preziosissimo ed efficace talismano per proteggere la città, un uovo d’oro nascosto poi sull’isolotto di Megaride, nel ventre di Castel dell’ovo.
Solo nel 1305 compare davvero Gennaro, reso patrono non dalla Chiesa o per meriti religiosi, ma dalla volontà di un Re, Carlo II d’Angiò che vuole affermare così la potenza del suo regno.
È un’investitura sorprendente che scavalca d’emblée Aspreno, primo vescovo di Napoli, Atanasio, Eufebio, Agrippino e Agnello, ma cade nell’indifferenza del popolo ancora legato al mago Virgilio.
Non basta un’investitura reale, per essere riconosciuto Patrono Gennaro deve incarnare Napoli.
Il suo busto viene realizzato in argento e coperto da una lamina d’oro, colore che lo identifica poi in qualsiasi rappresentazione iconografica, collegandolo alla sacralità del Sol Invictus, che si rinforza quando nel 1389 per la prima volta il suo sangue si scioglie. È il 17 agosto, si sta celebrando la festa dell’Assunta e Gennaro si lega al femminile sacro diventando espressione al tempo stesso dell’animus e dell’anima di Napoli, materializzazione immateriale della sua essenza, rappresentazione identitaria di una terra generata dagli dèi.
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