Nell’autunno del 1969, esattamente cinquant’anni fa, si avviò in Italia un poderoso movimento di rivendicazioni e lotte sindacali che prese il nome di “autunno caldo”. Il Paese usciva da un lungo periodo di crescita che, dalla metà degli anni ’50 e buon parte de successivi anni ’60, aveva dato vita al cosiddetto miracolo economico. L’Italia era rinata dalle rovine della guerra, il lavoro non mancava e partiva la spinta a migliorare le condizioni di vita delle classi lavoratrici.
Seguì una lunga stagione di confronto sociale anche aspro che portò la società nazionale, nel suo complesso, a raggiungere equilibri sociali ed economici più adeguati anche nei confronti degli standard internazionali in cui l’Italia si era decisamente inserita. A distanza di mezzo secolo, si è giunti ad un nuovo punto di partenza, che questa volta può essere assunto come “autunno nero”.
Due eventi sciagurati hanno costretto tutti ad aprire gli occhi: uno naturale, la marea disastrosa di Venezia, che è solo l’ultimo e più grave episodio dei tanti che colpiscono un’Italia senza cura e manutenzione, l’altro economico che riguarda l’Ilva di Taranto, uno dei nodi cruciali per l’intero sistema industriale italiano.
Un territorio abbandonato che pesa sul piatto della bilancia quanto la crisi dell’acciaio. Può un Paese diviso, con un governo fragile, e il maggior gruppo parlamentare (i 5Stelle) alla deriva capeggiato da nullafacenti senza arte né parte, può quest’Italia resistere alla botta ciclopica che l’ha colpita?
Chi scrive è dell’opinione che il colpo può essere salutare, a debite condizioni! Del resto la forza di questo povero Stivale sta proprio nel non darsi per vinto quando tutto sembra finito. E’ avvenuto nelle due grandi guerre mondiali del novecento, dopo la rotta di Caporetto, e si è ripetuto dopo il crollo del regime fascista, la lotta di Resistenza, il referendum istituzionale (monarchia-repubblica del 1946), poi la Costituzione e, come si diceva prima la ricostruzione e di seguito il boom economico. Tutto fu possibile perché si verificarono alti punti di tenuta istituzionale e morale.
Fu l’esercito e furono i fanti della prima guerra mondiale, sostenute da famiglie povere dalla schiena dritta, a reggere l’urto. Al tempo, mancò purtroppo un’istituzione morale capace di incanalare il flusso sociale e politico che seguì verso approdi democratrici, con l’ignobile re pippetto (Vittorio Emanuele III) che aprì le porte del potere al fascismo per ripetersi con la ignominiosa fuga al Sud nel 1943 anzichè ergersi a difesa della Patria.
Fu un numero ristretto di intellettuali, di ufficiali e militari sbandati, migliaia di operai e studenti che diedero vita all’epopea – mai da dimenticare – della Resistenza che rimane il fulcro della ripresa morale italiana.
Un gruppo limitato di uomini politici che avevano patito la galera e l’esilio durante il fascismo, – Alcide De Gasperi, Pietro Nenni, Palmiro Togliatti, Ferruccio Parri, Luigi Einaudi, Enrico De Nicola, Giuseppe Saragat, Piero Calamandrei, Amintore Fanfani, tanto per fare qualche nome – seppe prendere in mano una situazione disperata e, forti d una costituzione democratica, portare progressivamente l’Italia fuori dalla tempesta. Il gruppo seppe essere omogeneo nella costruzione della democrazia e nel rilancio economico e sociale, sebbene profondamente distinto su basi ideologiche e politiche che erano in totale aspro conflitto. Ma prevalse una visione nazionale e un progetto democratico.
Per capire qualcosa si rileggano gli atti della Costituente, si rifletta sulle forze, sulle idee, sulle parole che emersero e si confrontarono in quell’appassionato dibattito. La conoscenza di quegli atti dovrebbe costituire esame obbligatorio per entrare almeno, almeno, almeno in Parlamento. Si può facilmente immaginare che, fatta qualche emerita eccezione, gran parte di deputati e senatori sarebbero cacciati da Montecitorio e Palazzo Madama, senza perdita alcuna per Istituzioni e Paese.
Basta fermarsi ai concetti che vengono espressi sui mezzi di comunicazione a proposito di economia, industria, grandi opere pubbliche ecc., per capire in che mani è finito il Bel Paese. Tuttavia qualche lume comincia a rivelarsi all’orizzonte, nel senso che alcuni personaggi – come sempre un’elite politica – si è resa conto che la canzone così suonata non può continuare. Si indicano qui tre quattro personaggi, oltre al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che hanno compreso lo stato di assoluto bisogno e la necessità di dar vita ad una svolta politica capace di assicurare una risposta adeguata. La risposta è quella di dar corso ad un sostegno politico parlamentare – indipendentemente da chi stia al governo – sulla base di una unità nazionale che dovrà durare almeno tutto il tempo che resta della legislatura. Gli uomini che stanno dimostrando di aver idee e soprattutto attributi per impegnarsi in questa sfida estrema sono il premier Conte, Giorgetti della Lega, Franceschini del PD e Renzi di Italia Viva. Con loro debbono unirsi, ciascuno giocando il proprio ruolo, i segretari generali delle grandi organizzazione sindacali – CGIL CISL UlL – la Confindustria e le organizzazioni datoriali.
Il resto sono chiacchiere vuote e vieto esibizionismo. Un patto politico chiaro, definito, a tempo, fino a chiusura di questo che sarà un lungo autunno nero. Dopo di che si potrà tirare il conto e presentarsi con le carte in regola per proporre agli elettori un’alternanza democratica di governo.
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