Si ripete comunemente che il 1989 rappresenti il momento della vittoria del capitalismo sul socialismo, ma nessuno rileva che esso costituisca, piuttosto, il punto di svolta, radicale e sconvolgente, del capitalismo Occidentale.
Con il crollo dell’Impero sovietico, con la cessazione della “guerra fredda” e con l’immissione nel Mercato mondiale delle immense ricchezze accumulate dagli uomini della Nomenklatura negli anni della dittatura bolscevica il Capitalismo Occidentale punta, infatti, ad abbandonare grande parte della produzione industriale per divenire prevalentemente “finanziario”. Si realizza, in tal modo, un’ipotesi ampiamente prevista da Karl Marx ne “Il Capitale”.
L’operazione di trasformazione non è, ovviamente, mai annunciata apertis verbis e avviene, per così dire, fuori dalla luce del sole. A dirigerla sono le Banche Centrali, americana ed europea; per nasconderla è necessario l’aumento poderoso della spesa militare, agevolmente giustificato, peraltro, da quell’eterno focolaio di guerra rappresentato dal Medio Oriente con le sue religioni (ufficiali, scismatiche, eretiche) da duemila anni in lotta tra di loro.
Gli Stati seguono, senza contrastarlo, l’indirizzo disegnato dalle élite finanziarie dell’Occidente, ma il caos, la disruption, il deficit di vita democratica, il malessere economico dei ceti più disagiati danno segnali allarmanti di crescita incontrollabile. Il cosiddetto “voto di pancia” convince i leader dei due maggiori Paesi Anglosassoni a prendere le distanze dallo strapotere acquisito da Wall Street a New York e dalla City a Londra. Dopo il discorso sullo Stato dell’Unione del 1990 di Bush senior, l’incapacità di previsione e l’illusione della fine della storia con il tramonto del bolscevismo rappresentano l’alibi per “soggiacere” a tutte le pretese dal Capitalismo monetario incalzante di tutti i Presidenti degli Stati Uniti e dei Premier britannici.
Poi l’ascesa della Cina, il ritorno dei fondamentalismi religiosi, la stanchezza per un militarismo crescente con guerre ingiustificate e senza fine danno una scossa agli Occidentali che non produce effetti soltanto in un’Europa che dopo essere stata al centro della Storia per secoli è diventata incapace di ogni azione significativa e rilevante. La Brexit, l’elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti d’America, la vittoria di Boris Johnson nelle votazioni per il Parlamento inglese sono le tappe di un prevedibile ridimensionamento del Capitalismo finanziario Occidentale.
Naturalmente, il risultato dello scontro è ancora incerto. Il sistema finanziario può contare su molti atout:
a) il possesso o il sostanziale condizionamento (attraverso il credito) dell’intero sistema mass-mediatico Occidentale;
b) l’appoggio delle due maggiori religioni del monoteismo mediorientale (gli ebrei, attraverso le lobby finanziarie di New York e di Londra; i cristiani, attraverso lo IOR del cattolico Vaticano e i vertici vari del Protestantesimo inseriti nel mondo delle banche);
c) l’interesse dell’industria delle armi pesanti per l’accensione o per il mantenimento del “fuoco” (già “vivo” nelle regioni calde del Medioriente e “latente” nel resto del Pianeta);
d) la soggezione totale dell’Unione Europea al potere dei Tecnocrati di Bruxelles, che sono prevalentemente di formazione bancaria e inidonei oltre che impotenti a prendere decisioni politiche (id est: nell’interesse della polis);
e) la repressione, persino anti-democratica, di ogni fermento popolare diretto a recuperare margini di sovranità degli Stati-membri, pur prodotto e necessitato dalla volontà di non soggiacere a un declino economico progressivo e inarrestabile;
f) lo schieramento compatto della gauche occidentale, ecumenica o universalistica (a causa della sua doppia natura religiosa o ideologica), con proclamate finalità “salvifiche” e “pauperistiche” ma sostanzialmente soltanto in favore del mantenimento dello status quo.
g) il tam-tam insistente e ripetuto degli ecologisti, degli ambientalisti dell’intero mondo, che come Madame Butterfly vedono “fili di fumo”, non per coltivare speranze di ritorno dell’amato Pinkerton ma per prevedere cataclismi climatici del tipo di quelli che pur senza ciminiere e gas tossici distrussero i Dinosauri.
Conclusione: Dal discorso di George H.W. Bush sono passati trent’anni. Grazie ai suoi successori sino a Barack Obama, seguiti dai Tony Blair e dai Rod Cameron inglesi, il capitalismo monetario ha inferto seri colpi a quello Industriale e l’Occidente è precipitato nella scala dei Paesi produttivi. Negli Stati Uniti d’America e nel Regno Unito di Gran Bretagna, però, è stata innestata la retromarcia da Donald Trump e ora anche da Boris Johnson. A restare legata all’impossibilità di investire resta l’Unione Europea che continua a bloccare i bilanci degli Stati-membri per dare il denaro dei contribuenti alle Banche per il ripiano dei loro deficit e ai trafficanti umani per le spese necessarie alla immigrazione clandestina; misure ritenute idonee a fare da stampella a un’industria manifatturiera che senza investimenti e senza infrastrutture adeguate è tristemente destinata a scomparire.
Il Godot di un partito conservatore di stampo anglosassone, empirista, pragmatico e attento ai bisogni della polis, che si ponga sulla linea del riscatto industriale di Trump e di Johnson, nel vecchio Continente, mutatis mutandis, si farà attendere ancora, come quello diverso nell’opera di Beckett. La Destra estrema continuerà a confondere il necessario recupero di sovranità degli Stati con il ritorno ai nazionalismi. E per gli Italiani (ancora una volta, mutatis mutandis rispetto al pensiero di Leopardi) non sarà dolce naufragare in questo mare.
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