Quanto è importante che lo spettatore si immedesimi in ciò che vede per far arrivare un messaggio?
Di serie con adolescenti alle prime armi con il mondo ne abbiamo viste davvero tante e, chi più chi meno, ognuna di queste ha cercato di mettere in guardia i giovanissimi su alcuni argomenti scottanti.
Alcune, però, ci riescono indubbiamente meglio di altre e la chiave di svolta in questo procedimento sta proprio nella capacità di far immedesimare chi guarda nelle vicende rappresentate.
Euphoria è una serie televisiva HBO, basata sull’omonima miniserie israeliana, uscita nel 2019 negli Stati Uniti e, successivamente, arrivata fino a noi.
La protagonista, Rue, è una ragazza di diciassette anni che sta cercando di uscire dalla tossicodipendenza, dopo che la sorellina l’ha trovata in overdose sul pavimento della sua camera.
Fin dall’inizio ci vengono presentati praticamente tutti i personaggi, di cui poi, puntata per puntata, scopriamo la singola storia. Ognuno ha i suoi problemi: revenge porn, sessualità, relazioni pericolose, identità, amore…
Tutto questo inserito in un contesto molto distante dalla quotidianità degli adolescenti.
I protagonisti partecipano a feste, partono in piena notte di punto in bianco, vivono una vita totalmente al limite. Tutti fanno uso di droghe, più o meno leggere, tutti hanno un rapporto conflittuale ed esagerato con la sessualità e tutti sono molto arrabbiati. La classica immagine degli adolescenti, insomma.
Seguendo questa serie non mi sono sentita inclusa, come se non fosse rivolta a me, come se non fosse rivolta a nessuno in particolare. Ho avuto l’impressione che non si guardasse al ragazzo liceale affamato di libertà e incuriosito da qualsiasi cosa, quanto più al giovane adulto già formato, che ormai certe cose non le sogna più.
Viene, perciò, naturale pensare che ciò che succede ai protagonisti non ci possa riguardare, perché le nostre vite sono totalmente diverse: abbiamo genitori a cui rendere conto delle nostre azioni, una scuola da seguire, degli impegni da portare avanti. Un conto erano le vicende di Blair e Serena nell’Upper East Side, in cui si parlava proprio di un mondo diverso, con altre possibilità, con vite che noi umani possiamo solo sognare; discorso totalmente diverso vale per Euphoria, che vorrebbe arrivare a tutti, invece.
Una serie Netflix, dello stesso anno della precedente, ambientata in Inghilterra questa volta e di cui a breve avremo anche una terza stagione.
La serie, il cui titolo ci indirizza molto, parla di un ragazzo di circa sedici anni, Otis, figlio di una terapista sessuale, che inizia a fare consulenze ai propri compagni circa svariati problemi.
Sarà per via della vicinanza dell’ambientazione? Per il fascino dell’accento inglese? Per la simpatia dei personaggi? Non lo so, ma sicuramente se dovessi consigliarvi una delle due punterei più sulla seconda.
I temi trattati sono più o meno gli stessi, ma il contesto è totalmente diverso.
Sex Education è una serie colorata, allegra, leggera, mi verrebbe da dire: giovane.
Non per questo il messaggio arriva meno forte, anzi. L’impatto di alcune scene è sbalorditivo: come nella prima stagione, quando tutte le ragazze della scuola si alzano per esprimere solidarietà ad una di loro, vittima di revenge porn, al grido di “è la mia vagina!” Forte, eh?
Le vite di questi ragazzi sono come la mia, come la vostra, normali.
Eppure la serie riesce comunque a parlare di accettazione, di molestia, di droga, di aborto e lo fa in modo naturale, senza vergogna, senza censure, senza artifici.
Ho trovato entrambe le stagioni davvero interessanti ed educative.
E credo sia questo il punto fondamentale di tutta la questione: chi vede deve potersi immedesimare, deve poter pensare che ciò che sta guardando potrebbe succedere a lui o al suo compagno di classe o al ragazzino silenzioso che incontra sempre sull’autobus. Così non sottovaluterà i rischi, ma capirà ciò che la serie gli vuole dire e quest’ultima avrà fatto il suo lavoro, oltre al puro e semplice intrattenere.
Dal canto mio consiglio la visione di entrambe, con uno spirito ed aspettative diversi e con la consapevolezza di trovarsi davanti a due approcci opposti, non per forza meno validi.
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