C’è un tipo di notizie che ogni giorno è immancabile. Talvolta è esposto a lettere cubitali, in quella che nelle edizioni cartacee è la prima pagina, perché è inutile negarlo: attrae come una calamita i lettori di ogni assiduità, per giorni come l’ultima serie tv. Talaltra fa capolino fra titoli più succosi, una piccola e minuta agenzia estemporanea di doverosa pubblicazione, ma che viene velocemente catalogata e liquidata tra le immancabili e quindi scontate: l’immancabile aumento di contagi, l’immancabile barcone di migranti in pericolo, l’immancabile incendio e l’immancabile danno ambientale.
E poi c’è l’immancabile episodio di violenza sulle donne, troppo spesso un efferato femminicidio. L’indignazione del lettore mediamente si esprime nel tempo di una sinapsi, assume le sembianze di un subitaneo neurotrasmettitore, quasi non fosse più emozione che scuote dentro. Non è una colpa, è un fatto, forse la conseguenza di questa visione fugace e smartphoniana dell’informazione alla quale noi tutti abbiamo ceduto. E chi scrive ha il dovere di ricordarlo, non per tiratura di orecchie o di testate, ma per non perdere di vista uno degli scopi del giornalismo d’origine: generare consapevolezza su un certo argomento, spesso un problema e provare a cambiare qualcosa. Presuntamente e anche un po’ presuntuosamente.
Ma questo è solo il cappello di un brevissimo memoriale dell’ultimo periodo, in cui il lettore attento è senz’altro incappato nella notizia di una capotreno che ha rischiato di essere violentata da un tizio per averlo sollecitato all’utilizzo della mascherina; o di un tassista, cosiddetto per definirne più che altro il mezzo di locomozione, che ha usato violenza su due clienti donne e ora è agli arresti domiciliari; o di una donna uccisa dall’ex compagno; o di un’altra donna uccisa sempre dall’ex marito, fidanzato o compagno poco importa, un assassino; o della ragazza decapitata dal padre perché (perché?!) con il ragazzo sbagliato, stavolta in Iran.
Del resto, all’ordine del giorno in tutto il mondo, non si può negare che i soprusi nei confronti di donne, spesso bambine, siano frequentissimi in paesi ben precisi, vuoi complici la povertà, l’ignoranza, i tabù e le superstizioni spacciate per religione, persino per regole. Senza tema di essere considerati pregiudizievoli, è un fatto che in alcune zone dell’Africa si pratichi l’infibulazione, la mutilazione dei genitali femminili, come è un fatto che in alcune tribù del Pakistan o dell’Afghanistan la punizione per uno sgarro sia spesso lo stupro collettivo di un membro femminile della famiglia del condannato. E ancora, è un fatto che alcuni paesi del sudest asiatico la prostituzione minorile sia parte del folklore locale, persino attrazione di un disgustoso turismo. E l’elenco è infinito. Fatti esecrabili, barbarici, che rendono ogni commento superfluo e che suscitano un orrore tale da non poter essere solo sinaptico.
Di un paio di settimane fa è la notizia altrettanto drammatica, in Brasile, di una bambina di dieci anni violentata (dallo zio, un altro tipo di assassino) che, decidendo con i genitori di abortire, ha provocato le ire funeste degli antiabortisti che hanno manifestato persino di fronte all’ospedale dove era ricoverata. Tra loro non solo religiosi, ma anche membri del governo, dato che il presidente Bolsonaro ha inasprito e ostacolato la regolamentazione dell’aborto, tanto che la bambina è stata costretta a rivolgersi a una clinica lontana quasi 2000 km dalla sua città natale. Lungi dal voler mancare di rispetto agli ideali di ciascuno, tuttavia la domanda da farsi è: chi di loro ha pensato al diritto alla vita, alla salute, alla serenità, all’infanzia purtroppo ormai violata della bambina, una delle migliaia di vittime di aguzzini maniaci sessuali e pedofili che agiscono indisturbati ogni giorno e in ogni dove?
In fondo anche questo è femminicidio, che qualcuno ha osato negare con l’immancabile, superficiale minimizzazione da diatriba di talk show: perché si uccide in qualche modo ogni volta che si calpesta un diritto, che si viola un’infanzia, che si abusa di un’intimità, che si infligge un colpo alla libertà personale, che si gettano fango e discredito su una persona ferita, che si castra una possibilità di giustizia e di rispetto della dignità.
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