Sono molto depressa dalla lettura/correzione dei temi dell’esame di stato.
La maggior parte sono sull’articolo di Belpoliti sull’elogio dell’attesa (a cui saremmo disabituati per l’avvento delle tecnologie: social e messaggistica).
In sintesi: si stava meglio quando si stava peggio. Quando si attendeva mesi per ricevere una lettera, quando si stava volentieri in coda all’ufficio postale, quando la noia era benvoluta e non ci innervosiva. Condannato persino quel briciolo di impazienza che prende quando la connessione è lenta, le pagine non si caricano e così via…
O ci dicono quello che pensano che noi vogliamo sentirci dire?
E se è così, perché noi – adulti, docenti – abbiamo dato questa visione della modernità? Perché loro – che sicuramente conoscono i social meglio di uno scrittore ultrasessantenne – non sono in grado di argomentare in favore della velocità? O della simultaneità, che ha permesso loro di non vivere in totale isolamento durante il Covid?
Ma, quei pochi che hanno scelto il tema su una frase di Piero Angela hanno al contrario elogiato la velocità, la distruzione creatrice, l’innovazione….
In entrambi i casi, hanno amplificato i testi su cui dovevano lavorare.
Ogni singola frase l’hanno ripetuta in modi diversi, moltiplicando gli esempi.
Ma senza entrare, tranne pochissimi, nel merito e senza contraddire o dissentire dall’autore.
Noi ci troviamo – temo – a dovere fare i conti con un corpo docente invecchiato, pessimista, moralista, spaventato dalla modernità, incapace di trasmettere la voglia di capire e di esplorare, sempre sicuro di tutto, col ditino alzato contro ogni tecnologia, non per amore della “Secchia rapita” o dell’”Ode a un’amica risanata”, ma per paura della propria irrilevanza. Per lo smarrimento di un’autorità perduta e di un’autorevolezza che non si riesce a conquistare.
Il risultato è questa schizofrenia.
Di diciottenni che parlano come settantenni, che elogiano tempi andati mai esistiti e che non hanno conosciuto, sospettosi di ogni innovazione e succubi di adulti narcisi e pigri.
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