E’ Natale, manca davvero poco, e crisi o non crisi tutti ritroviamo il sorriso e la voglia di festeggiare, un’occasione gioiosa per ritrovarsi in famiglia. E allora quest’anno non posso non pensare a chi anche se volesse festeggiare non saprebbe come farlo e che ha smesso di avere desideri. Guardando le luminarie, i pacchetti, i volti dei bambini, le mille leccornie e i tanti addobbi io non riesco a non pensarci, cosa sarà in Grecia, nelle isole dei campi profughi e negli altri migliaia di campi in giro per il mondo. Il Natale non è gioia per tutti, così nasce l’idea di ricordare che è giusto essere felici e brindare ma che non troppo lontano da noi, questi giorni saranno uguali agli altri per migliaia di persone senza casa e senza un futuro.
Alfredo Nazzaro da poco rientrato da Chios mi legge nel pensiero e mettiamo insieme e scriviamo così le nostre emozioni, lui quel campo lo ha vissuto con Stay Human Odv, lo porta tatuato sulla pelle ed io non riesco a rimanere indifferente a quello che in un angolo di Paradiso come le isole greche, accade ogni giorno, nell’indifferenza di tutti.
Per alcuni il Natale, da molti Natali e per molti Natali ancora, è paura, bombe a grappolo sganciate dai droni o da aerei super tecnologici che a venderne uno sfameresti tutta la città, terra che trema sotto i piedi come ti immagini sarà l’Armageddon, sirene e luci delle ambulanze che sostituiscono le luci ad intermittenza dei nostri alberi. Sconforto, privazione assoluta, sradicamento dalle proprie radici e, soprattutto, nessun domani. In quei campi, che vi abbiamo raccontato, ci sono centinaia di bambini, tu ed io un campo con centinaia di bambini lo immaginiamo chiassoso, allegro, colorato. Ti immagini i suoni e le risate,le corse e le cadute, i giochi e l’ingenuità.
Quello che colpisce di quei campi è il silenzio dei bambini, si proprio il silenzio. Sono bambini nati durante una guerra, una carestia, sono sopravvissuti alle bombe, a guerre civili. Hanno perso padri, madri, fratelli, amici, l’infanzia non l’hanno persa, ma non sanno davvero cosa sia. Non puoi perdere una cosa che non hai mai avuto. Neanche il Natale hanno mai avuto, e non perché non sono tutti cristiani, il Natale è Dio che si fa uomo per salvare l’umanità, è un punto di luce nelle tenebre, non a caso cade nel giorno in cui le antiche civiltà festeggiavano il solstizio d’inverno. E’ la vita che inneggia alla vita. Tutte cose che, in quei campi, sono degli ossimori, come se in quei campi Gesù rinascesse ogni giorno, in moderne mangiatoie senza più neanche il fieno ad accoglierlo. A differenza della Natività, in quei campi non c’è la speranza di redenzione, in realtà non c’è nessuna speranza, perché non c’è nessuna attesa, neanche per i bambini.
Quando non hai avuto un’ infanzia e la spensieratezza che la caratterizza è la paura che prende il posto con i boati delle bombe, la fame, l’eterna fuga, i pianti e le urla non attendi niente di diverso e sei già contento di essere sopravvissuto. Il resto è superfluo. Non sai cosa sia un regalo, perché i tuoi genitori non hanno fatto in tempo a comprarli, prima, ed ora è troppo tardi. Comprarli dove, poi? E con quali risorse? I giochi, le attività ricreative e quelle formative, in quei campi, sono legate alla presenza ed alla capacità di organizzarsi ed intercettare beni e risorse da parte delle organizzazioni umanitarie. Basta poco, a quei bambini, per essere felici almeno per un attimo. A volte basta uno sguardo di attenzione, una carezza, un abbraccio, già una caramella è un bene prezioso. Quando ricevono un dono sorridono con gli occhi e con il cuore, cose che noi abbiamo disimparato a fare. Dovremmo ricordarcene quando camminiamo specchiandoci distrattamente nelle vetrine sovraccariche.
E’ stridente il contrasto, tra le nostre vite agiate e quelle di chi lotta per non essere sopraffatto dal magma della vita. Lo è sempre, in certi periodi lo è di più, Natale è uno di quelli. I rifugiati, gli scampati, i nuovi naufraghi, sono definiti persone “ricollocate”, in luoghi diversi dal loro luogo di origine o di residenza abituale, a causa di un evento improvviso, come una catastrofe naturale o una guerra. I campi di accoglienza dovrebbero essere luoghi temporanei ed invece diventano semi-permanenti o permanenti. Difficilmente, quelle persone, vedranno più, in vita loro, i luoghi che gli sono stati familiari. Non è un caso che Gesù sia nato ultimo tra gli ultimi in una terra squassata e sconvolta da guerre e conflitti che non ha mai trovato pace e forse mai ne troverà.
Sotto l’albero o guardando il presepe proviamo a cercare una luce più luminosa delle altre, guardiamo nella grotta per dare un senso a quello che ci accade intorno, per non dimenticare nessuno, per poter destinare un nostro pensiero a chi ancora scappa, fugge, e vive in una tenda o in una grotta, a chi nascerà non vedendo mai le luci di un albero di Natale e non saprà mai di essere nato come Gesù.
Buon Natale a tutti e buon Natale a chi lo festeggerà con gli ultimi, buon Natale a chi solo per un momento penserà agli “altri”.
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