Una beffarda Nemesi storica lega la morte di Francesco Saveri Borelli e lo scandalo in cui è coinvolto l’ex consigliere del Csm e presidente dell’Anm Luca Palamara.
Borrelli, celebrato come esponente di una magistratura che più pura non si può, se ne va mentre il caso Palamara ci racconta una storia ben diversa, e cioè che il re è nudo, la magistratura ha le mani in pasta come e forse più di quei politici che voleva epurare. E se sono vere alcune indiscrezioni che si sentono sussurrare, potrebbe venire a galla uno scandalo ancora più imbarazzante.
Lontani i tempi in cui Borrelli e i suoi sostituti si ergevano a coscienza morale del Paese, paladini dell’onestà (forse questa parola ricorda qualcosa di attuale?) contro una classe politica depravata. Parlavano apertamente di ruolo di supplenza, come dire: l’Italia è in mano a ladri e farabutti, ma ci siamo qui noi, pronti a sacrificarci per ridare dignità al Paese.
Ne ho conosciuti, di magistrati. Nei primi anni di lavoro al Corriere della Sera feci il cronista giudiziario. Ero poco più che ventenne, pieno di ideali, e mi illudevo di essere capitato nel mondo dove più che in ogni altro ambiente si respirava un’aria pulita. Immaginavo la magistratura formata da persone integre e inflessibili. Quando, dopo una decina d’anni, chiesi al giornale di compiere un atto umanitario consentendomi di occuparmi di altri argomenti, ero diventato un’altra persona. La magistratura non era il paradiso che avevo immaginato. Negli uffici giudiziari avevo scoperto un cinismo ributtante, c’erano persone che smaniavano per conquistare visibilità, e c’erano anche magistrati che facevano paura per l’ignoranza e a volte addirittura per una loro manifesta instabilità.
Vissi in prima persona un episodio sconcertante. Avevo scritto un articolo su un fatto giudiziario raccontando che l’inchiesta era condotta da un certo sostituto procuratore. Il giorno dopo quel sostituto lesse l’articolo e mi fece convocare nel suo ufficio. Andai volentieri pensando che mi volesse regalare qualche particolare in più dell’inchiesta. Invece no. Mi guardò per quasi 5 minuti in silenzio.
Poi esordì: “Come si è permesso?”.
Permesso cosa?
“Di scrivere il mio nome. Forse io l’ho autorizzata?”.
A questo punto fui io che lo guardai in silenzio e me ne andai. Avevo un buon rapporto con il capo della Procura al quale raccontai l’episodio e lui si mise a ridere, dicendo: “Quello alle 7 del mattino è già ubriaco”.
La cosa più sconcertante dei magistrati è che emettono sentenze non in base alle leggi, ma sulla base di loro convincimenti, riuscendo a travisare o a dare una lettura degli avvenimenti del tutto personale. Di conseguenza un povero disgraziato in attesa di giudizio può essere assolto o condannato non per quello di cui lo si accusa, ma perché ha la fortuna o la sventura di trovarsi davanti al giudice giusto o quello sbagliato.
Capitava di assistere a sentenze sbalorditive quando a pronunciarle erano gli appartenenti al gruppetto, una decina di persone, di Magistratura democratica. Ferdinando Imposimato, col quale avevo ottimi rapporti, era a quel tempo giudice istruttore e non li sopportava. Una volta mi disse: “Prima o poi li faccio arrestare tutti”.
Rievocare questi episodi è anche un po’ triste. Ma è necessario dire che l’attuale scandalo del Csm rivela un comportamento di cui si aveva già piena contezza da anni. E anche la boria con cui gli inquirenti di Mani pulite sono saliti sull’altare della purezza distruggendo vite umane, rivela che dietro la presunta operazione di pulizia c’era arrivismo, esaltazione per un ruolo di castigatori che si auto-alimentava e si nutriva del plauso compiaciuto di una stampa ubriaca di vedere i potenti nella polvere. Poi ci si meraviglia che ha preso piede il populismo.
Nessuno pretende che i magistrati siano dei robot immuni da condizionamenti e sordi ai richiami del mondo. Però un po’ di decenza e di umiltà non guasterebbero. Invece credo che, nonostante lo scandalo del Csm, la magistratura continuerà a essere un territorio intoccabile. Il pubblico, che per un certo periodo considerò i giudici la categoria in cui maggiormente aveva fiducia, nutrirà meno aspettative. Ma poco cambierà. Il fatto è che i magistrati, sebbene feriti nella credibilità, dispongono di un potere che fa paura. Possono tenere in scacco i politici e modificare gli assetti di governo.
Lo aveva già capito Pier Paolo Pasolini. Ricordo benissimo che, prima di andare a morire sulla spiaggia di Ostia, aveva pubblicato l’ultimo dei suoi “scritti corsari” sul Corriere della Sera. Chiudeva lo scritto promettendo che nel successivo articolo avrebbe lanciato i suoi strali contro la magistratura, per spiegare quale ruolo a volte nefasto giocava nella vita del Paese. Non ebbe il tempo di occuparsene.
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