Nel terzo volume (parte quinta) de “Il Capitale”, KarlMarx prevede lucidamente la soppressione del modo industriale di produzione capitalistica in conseguenza ed a causa della “ricostituzione di una nuova aristocrazia finanziaria, una nuova categoria di parassiti”…. Il tutto – aggiunge – “in un sistema di fondi, di imbrogli” e via dicendo. Non poteva immaginare lo studioso tedesco che i suoi sedicenti seguaci marxisti sarebbero stati, all’inizio del terzo millennio, i sostenitori più sperticati del sistema creditizio da lui additato al pubblico disprezzo e che i medesimi sarebbero stati ospitati, in pompa magna, in tutti i giornali e in tutte le radiotelevisioni di proprietà o dipendenza creditizia bancaria; e che sarebbero diventati i più feroci oppositori del capitalismo industriale, avversato, sempre con il sostegno degli istituti finanziari da movimenti di massa ecologisti, capeggiati persino da minorenni in fuga dalla scuola, da assembramenti nelle piazze (in Italia: prima di Grillini e poi di Sardine), da ondate umane di pacifisti, umanitaristi e universalisti in diffusione espansiva (a macchia d’olio) su tutto l’orbe terracqueo.
Non poteva immaginarlo, perché non aveva previsto che il lucore dell’oro annebbia la vista anche degli ex proletari, un tempo in marcia, descamisados, verso il sole dell’avvenire, ma oggi travestiti in abiti di buon taglio sartoriale, soprattutto, da intellettuali da salotto, impegnati in un generico e imprecisato progressismo gauchiste.
Il trionfo in Gran Bretagna di Boris Johnson e la pesante sconfitta dei laburisti inglesi (giunti al loro minimo storico), rapportata al successo crescente della politica di Donald Trump negli Stati Uniti d’America e al disorientamento e alla confusione delle primarie del Partito Democratico (che lasciano presagire una loro sonora sconfitta, nel 2020, delle stesse proporzioni di quella di Corbyn in Inghilterra), “aprono il cuore” alla nostra speranza.
Almeno gli Anglosassoni, non irretiti, come gli Euro-continentali, da duemila anni di assolutismi monarchici, di teocrazie religiose e di dittature d’impronta ideologica tedesca (di destra e di sinistra), sembrano avere compreso i rischi di un’involuzione finanziaria del capitalismo Occidentale. L’augurio è che sappiano anche condurre la leadership di un riscatto del vecchio Continente dal giogo impostogli da un’Unione Europea che mai i suoi Padri Fondatori avrebbero voluto in quel modo.
Paradossalmente, tra i vari Paesi della parte continentale Europea, l’Italia non sembra trovarsi nella condizione peggiore. I Grillini cantano le loro nenie funebri e le Sardine (d’incerta origine) sono pronte per essere fritte in padella dopo qualche, ulteriore e disordinato guizzo; i democratici sono in permanente conflitto con i renziani, che verosimilmente hanno perso i loro “patron” a Bruxelles, a Wall Street e alla City e si agitano scompostamente nelle spire di un’implacabile giustizia. Il coro patetico di anatemi contro il “sovranismo” e il “populismo” appare attenuato per effetto della stessa stanchezza dei melanconici “laudatores temporis acti”, costantemente nostalgici (di un passato qualunque esso sia) e incapaci di guardare di là della misura del proprio naso. Tutto andrebbe nel verso giusto se a beneficiare dell’opera meritoria dei Conservatori Inglesi e dei Trumpiani Statunitensi vi fosse una Forza veramente liberale, pronta a raccogliere il testimone in una gara encomiabile, perché volta a ridare alla libera iniziativa individuale la possibilità di sottrarsi al soffocamento della politica asfittica delle Banche (e per esse dell’Unione Europea).
Tale forza, purtroppo, non c’è!
I liberali Eurocontinentali, avendo la loro matrice di pensiero nell’Idealismo tedesco, si accodano da sempre agli assolutismi (di per sé illiberali) dei Cristiani e dei Social-comunisti.
E’ sperare che la forza trainante del Conservatorismo liberale Anglo-Americano smuova qualcosa anche nell’Europa delle ventisette Nazioni asservite all’Unione, eterodiretta da Wall Street e dalla City.
Si tratta solo di un filo sottile, ma… vuolsi che la Speranza sia sempre l’ultima a morire!
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