A Catania si possono visitare due mercati all’aperto: la Fiera e la Pescheria. Il primo si trova nelle adiacenze di Piazza Carlo Alberto ed è il mercato più vasto e colorato della città, dedicato soprattutto alla frutta, alla verdura, alle carni. La Pescheria è situata nelle adiacenze di Piazza Duomo ed è ovviamente dedicata alla vendita del pesce. L’impressione immediata di chi li visita è quella del chiasso, di un gran disordine, di una grande trascuratezza, rispetto del contesto urbano.
E’ stato istintivo per me ricordare altri mercati: quello di Bolzano ordinatissimo, pulitissimo, silenzioso e a suo modo divertente perché te lo puoi godere con calma senza doverti fare strada nella calca come in un autobus affollato, e quelli del Marocco nelle due versioni: il mercato all’aperto per le classi sociali elevate sorprendentemente non molto dissimile da quello di Bolzano, e delle periferie di tipo medievale fantastico con i somari, le derrate distese a terra, i colori, i fumi, gli odori, la povertà, la miseria e la dignità degli ambulanti.
Alla ricerca di un cibo di strada, di una cucina di strada ho trovato finalmente in Pescheria fra tanti banchetti che vendono pesce di tutte le specie, un sanguinaccio. Non è stato facile scoprirlo perché il piccolo tavolo, sul quale il cuoco ben vestito di bianco appoggia la trippa pescata nel vicino pentolone fumante dove è stata bollita, è circondato da molti clienti che lo coprono alla vista dei visitatori inesperti, l’uno accanto all’altro attenti al lavoro del venditore.
A volte per tirare fuori la trippa dalla pentola il cuoco si serve di una lunga forchetta, a volte solo della sua mano miracolosamente indenne da ustioni. La trippa, tagliata in pezzi viene indirizzata con la punta del coltello verso il cliente che la porta alla bocca tra le dita delle mani fumante e rapidamente raffreddata soffiandole contro. Sono le 8 e 30 del mattino e questa è la colazione.
Nessun cenno di intolleranza nei confronti del calore della trippa, nessun commento degli astanti che in un silenzio sacrale aspettano il proprio turno per avere ognuno la propria porzione di trippa, senza sale o condimento alcuno avendo escluso che nel pentolone siano stati bolliti ortaggi come per un brodo vegetale.
E il sanguinaccio? Il sanguinaccio è contenuto in un budello di intestino e a fette e tagliato come un salame. Non è arricchito di condimenti, anch’esso è sangue senza aggiunta di spezie, bollente e portato in bocca con le dimensioni di un boccone preso in consegna dalle dita delle mani. Quando, dopo aver alternato bocconi di trippa e di sanguinaccio, il cliente è finalmente sazio avviene il pagamento secondo tariffe che non è stato possibile conoscere forse perché già note a tutti o perché dettate a voce bassa per non disturbare il silenzioso consumo della trippa.
Il trippaio prende i soldi e li passa ad un omone che sta alle sue spalle con un’aria indifferente. Non ci sono scontrini. Forse c’è una tacita intesa tra acquirente e venditore che ti fa mangiare una certa quantità di trippa e sanguinaccio ad un prezzo standard uguale per tutti, anche perché probabilmente non se ne può magiare più di tanto. Alle 10,30 al venditore non rimane che lavare il piano di marmo sul quale ha celebrato il suo rito ormai compiuto.
Ho appreso da una psichiatra siciliana di un altro “rito” che nell’area di Agrigento è presente e vitale, quello che per antica tradizione vede riunire ogni mese, alle 5 del mattino, i braccianti e gli allevatori di bovini e ovini in un cascinale, per mangiare ricotta e bere tanto vino da ubriacarsi e smaltire la sbornia durante una lunga interminabile dormita. E’ una riunione alla quale non partecipano le donne. La trippa viene mangiata ovunque in tutta Italia. Rappresenta il “quinto quarto” ovvero tutto ciò che non rientra nei tagli tradizionali dei quadrupedi. Stomaco, cuore, polmoni non hanno mai fatto comparsa nella cucina ricca e sono invece ben rappresentati nella tradizione gastronomica popolare.
Trippa è un termine generico con cui si indicano i pre stomaci dei ruminanti: il rumine, il reticolo e l’omaso e in alcune regioni anche la prima parte dell’intestino tenue. Ogni singola parte della trippa viene definita in termini dialettali che varia da regione a regione. E’ il caso del “Lampredotto” fiorentino o della “pajata” romanesca. Una colazione speciale a base di rognone è quella che racconta Joyce nell’Ulisse. Nella teoria ippocratica degli umori cuore, cervello, fegato, milza, sono sangue, flemma, bile gialla, bile nera il cui equilibrio tiene sano il corpo umano.
Davanti al banchetto del trippaio i clienti prendono un frammento di trippa bollente che viene portato alla bocca con le dimensioni di un boccone preso in consegna dalle dita delle mani.
C’è un’allusione nel rognone o nella trippa. In realtà il rognone sembra identificare solo la nazionalità di Leopold Bloom e una tradizione irlandese e inglese, certamente non ebraica. Il consumo della trippa a colazione distingue i catanesi? Non so. E’ probabile che la trippa a colazione rispetti una tradizione più antica superata dall’innovazione della moderna colazione a base di carboidrati.
Mi sono allontanato dal mercato un po’ sconfitto perché non sarei stato in grado di mangiare né la trippa né il sanguinaccio, che però ricordo bene di aver mangiato con gioia da ragazzo quando durante la guerra la fame era tanta e le frattaglie o il sanguinaccio rappresentavano il massimo gusto e del potere nutritivo. Oggi veder mangiare questi cibi mi interessa molto per l’aspetto antropologico e semiotico mentre non riesco ad immaginare per me uno stile di vita che comprenda queste scelte alimentari.
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