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La Caritas di Conte & Company

Premessa necessaria: i commenti, soprattutto quello che segue, sulla manovra adottata dal governo (Decreto Rilancio), rischiano di essere devianti in conseguenza del fatto che non è ancora disponibile il testo del provvedimento annunciato con grande enfasi da Conte e compagnia cantando.

Sarà comunque difficile districarsi con la messe di articoli contenuti nelle 495 pagine annunciate. Per venirne a capo servirà uno studio simile a quello necessario per affrontare un complesso esame universitario. Tutto lascia immaginare di doversi confrontare con un testo all’Azzeccarbugli, emerito docente della complicazione elevata a sistema.

Da quel che è dato capire, la manovra governativa risponde al principio fondamentale dei provvedimenti a pioggia, evitando accuratamente l’adozione di una qualsivoglia  linea di politica economica di ampio respiro  rivolta alla ricostruzione di un sistema che la pandemia ha messo in ginocchio, se non addirittura distrutto. 

Sarebbe ingeneroso affermare che è prevalsa la logica delle mance, perché le fasce sociali e i settori produttivi ai quali si rivolge meritano ben altra considerazione. Certo, dovevano e debbono essere aiutati a rimettersi in piedi, ma a condizione che si riesca a farlo e garantendo una prospettiva per l’avvenire.

Quella uscita da Palazzo Chigi somiglia invece all’abito di Arlecchino, bello e fantasioso all’apparenza epperò impossibile da indossare nel quotidiano e a lungo. Le toppe riparano momentaneamente i buchi, ma come sostiene il vecchio detto veneziano sono peggiori del “buso”.

Il provvedimento non ha natura estemporanea, bensì risponde alla logica prevalente nell’attuale maggioranza di governo, quella della decrescita felice tanto amata dai grillini. In un certo senso, è il corollario del reddito di cittadinanza, che venne annunciato come la fine della povertà. Scusate se è poco!

Detto, ripetuto e sottolineato che un aiuto generalizzato sia indispensabile per sostenere chi è rimasto privo di reddito, per far ripartire tutte le attività economiche, emerge l’assoluta mancanza di un collante di fondo, una politica economica che tenga tutto insieme e lo orienti alla ricostruzione e al rilancio del sistema Italia. Così, bene che vada, si potrà a mala pena sperare che qualcosa si salvi del vecchio assetto produttivo, ma sarà un recupero al ribasso, perché i fondi resi disponibili presto finiranno, sfumando nel consumo del sopravvivere immediato.

La Caritas, quella vera, si preoccupa di fornire ai diseredati un piatto di minestra e una coperta per ripararsi del freddo. Quella è carità cristiana, questa disposta da Conte & Company è piuttosto carità pelosa, con l’intento di guadagnare qualche voto in più quando si andrà alle elezioni. Che mancanza di capacità propositiva, di visione politica necessarie per dare fiato all’Italia che sta con il sedere a terra!

Poche osservazioni soltanto per non farla troppo lunga. Una prima ed essenziale riguarda la chiusura in se stessa della compagine governativa, che continua a disdegnare la ricerca di un rapporto costruttivo con le forze dell’opposizione che rappresentano, probabilmente, la maggioranza dei cittadini italiani. Qui non si sta alla vigilia di un derby calcistico, per cui la vittoria dell’una squadra coincide con la sconfitta dell’avversaria. Il premier Conte, che ama definirsi l’avvocato degli italiani, nella sua testardaggine di immaginarsi grande statista, sta mettendo le basi per un conflitto sociale prima e politico appresso senza uguali nella storia della democrazia italiana che ha appena 75 anni. Sbalordisce il seguire a ruota del PD, un partito che dovrebbe trovare almeno nella tradizione comunista, da Palmiro Togliatti a Luciano Lama, tanto per dare un riferimento puntuale, la capacità di guardare oltre il proprio orticello e condividere in comune la sorte del Paese.

Un’altra osservazione riguarda il tempo per tradurre le “grida” della manovra in misure effettive. Per dirla brutalmente, quando arriveranno i soldi nelle tasche di chi ha perso il lavoro e sui conti delle imprese. Un vecchio principio di politica economica evidenzia quelli che sono i cosiddetti “lags” delle manovre, cioè i ritardi con cui si producono gli effetti desiderati. In merito, c’è da attendere una ripresa dei consumi e, per quanto possibile, della produzione, entrambi ostacolati dalle misure protettive adottate contro il diffondersi del virus. Si tenga conto di quanto potrà avvenire nel comparto del commercio al dettaglio, della ristorazione, del turismo. Ieri mattina, intervistato alla tv, Cipriani, il titolare dell’Harris bar di Venezia, ha detto fuori dei denti che non potrà riaprire, “non perché non voglio, ma perché non posso”, non avendo lo spazio per accogliere i clienti.

Quattrocentonovantacinque pagine e un pacco di articoli sono tanti. Manca una sola paginetta e un solo articolo, sulla burocrazia, che rende tutto difficile e quasi impossibile. Una sola pagina e un solo articolo, con l’elenco infinito delle leggi da abrogare, tutte quelle che rendono impossibile la vita di ogni giorno a cittadini e imprenditori. Ma, è come chiedere la carità ad un usuraio!  E’ possibile immaginare che quel  ponderoso corpo di norme, figlio delle burocrazie ministeriali, possa contenere quell’articolo? No! L’auto castrazione non alberga nei palazzi romani.

Da ultimo, ma al  primo posto per importanza, si segnala la grave mancanza di un piano di investimenti pubblici, fatta eccezione, parzialmente, per la sanità e la scuola. Quei 55 miliardi, corrispondenti, come dice il governo, a due manovre di bilancio, finiranno presto e poco o nulla rimarrà. Il dilettantismo non si addice a chi deve governare un paese grande e complesso come l’Italia.

Per concludere, un’occasione sprecata per impostare un rilancio vero ed efficace del sistema Italia.

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Gianfranco Salomone

Giornalista - Già Direttore Generale Ministero del Lavoro

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