LA CRISI. Uno stato di confusione, di paura per il futuro, attraversa la nostra comunità nazionale in questa fase della storia del Bel Paese. È come se su di noi si fosse creata una cappa grigia che ci impedisce di coltivare speranze, un’assenza di ideali e di progetti che ci impedisce di costruire il futuro. C’è in giro una sorta di diffuso rancore, la gente non si sente sicura e si alimenta un clima da plebiscito. Poltrone e popolo, una visione deformata della realtà secondo cui da una parte c’è il popolo portatore di tutte le virtù, dall’altra una elitè che abusivamente occupa il potere per proprio tornaconto. Una visione secondo cui c’è un conflitto tra popolo e politica, una visione che nega alla radice la democrazia rappresentativa, cioè la unica possibile forma di democrazia.
Eppure è proprio in un tempo come questo che potrebbe maturare una ripresa del Pensiero, prima che i barbari facciano piazza pulita di tutte le conquiste di civiltà degli ultimi cinquant’anni. Forse una possibilità c’è ancora: l’anno trascorso dimostra che il populismo non governa, e quindi per garantire una pacifica e ordinata convivenza, prima ancora che un possibile sviluppo, è essenziale avere una idea condivisa di Paese e una coalizione di Partiti che la affermano con un comune programma e atti coerenti di governo.
Chi ha la responsabilità, e per questo occupa una poltrona al vertice dello Stato, la eserciterà per raggiungere questo obiettivo. Ne siamo certi.
METTIAMOCI INTORNO AL TAVOLO. Il rito del pasto, che compiamo tutti i giorni, è ovviamente un’abitudine che ci porta a non riflettere in modo sufficiente su ciò che mettiamo nel piatto, ma sappiamo che ciò che mangiamo ha uno straordinario impatto non solo sulla nostra salute, perché il buon cibo fa buona salute, ma anche sulla nostra ricchezza perchè il cibo buono, sano e nutriente fa buona economia.
L’agroalimentare italiano è uno dei mast della nostra esportazione e lo è diventato grazie alla straordinaria qualità dei prodotti tipici che tante piccole e medie aziende sono state capaci di mettere sulle nostre tavole e su quelle di mezzo mondo. Insieme alla moda e al design, l’enogastronomia è certamente una di quelle eccellenze del nostro Paese che ci hanno resi famosi e che ci avrebbero potuto far diventare ricchi, se una classe dirigente poco accorta non avesse sottovalutato o sprecato risorse tanto straordinarie.
Il gusto, il piacere, lo stile, il modello “Italia” è ri-conosciuto e ri-cercato in tutto il mondo. L’agroalimentare, insieme alla moda, ai beni culturali e al turismo, possono essere la chiave per una ripresa della produttività e per una crescita del mercato interno e fattore di sviluppo del made in Italy sul mercato internazionale contribuendo ad una definitiva uscita dalla recessione della nostra economia. Un’economia che sottende migliaia di piccole e medie imprese che fanno del “produrre” una questione di “sicurezza” e di “qualità”. La stessa “qualità” che oggi, più che mai, è la chiave di volta per entrare nei mercati oltreconfine, dove la domanda di “prodotto italiano” è addirittura più animata rispetto a quella interna.
E’ necessario promuovere le filiere agroalimentari perché sono un valore del vero, autentico made in Italy. Ma con quali strumenti, con quali sistemi/servizi di accompagnamento delle imprese? Quale sostegno alle imprese? Quale ruolo della Grande distribuzione? In definitiva cosa si dovrebbe fare per recuperare valore alla nostra produzione agroalimentare di qualità per farne un soggetto della ripresa economica e del risanamento del nostro sistema produttivo. Questo è il compito della politica. Questo dovrebbe essere scritto e descritto in modo chiaro e puntuale in un programma di governo.
UNA BUONA BOTTIGLIA D’OLIO. C’è una legge dello Stato del 2014 che, come tante altre, non viene rispettata. Così come ci sono regolamenti europei del 1966 e 67, oltre ad una sentenza della Corte Suprema Europea del 1974 di cui il Parlamento europeo, la Commissione e il nostro Ministero delle politiche agricole sembrano non essersene mai accorti. È lo strano destino dell’olio d’oliva e dei suoi veri o presunti produttori.
Le scelte politiche dei governi del secolo scorso e le conseguenti norme legislative nazionali ed europee hanno condizionato la produzione olivicola-olearia nazionale frenandone lo sviluppo e a fronte di una domanda sempre crescente delle famiglie italiane di olio estratto dalle olive si è risposto con l’introduzione sul mercato nazionale di oli di semi di prevalente produzione estera e con l’importazione di migliaia di tonnellate di olio d’oliva dalla Spagna e dai paesi del NordAfrica mentre, con gli incentivi all’imbottigliamento, si dava il via contestualmente alla nascita e allo sviluppo di una vasta gamma di imprese cosiddette di produzione olearia ma in realtà aziende di importazione e confezionamento.
Ciò ha contribuito in modo significativo a frenare i processi di ammodernamento del sistema delle imprese agricole di produzione olivicola e a rallentare l’ingresso delle nuove tecnologie estrattive nelle aziende del settore della trasformazione determinando un forte ritardo nel processo di professionalizzazione degli addetti. Il frantoio oleario, relegato ad una funzione di mero servizio agli agricoltori, ha “rifiutato” per decenni innovazioni significative: sul piano tecnologico l’introduzione del sistema di estrazione continuo ha fatto molta fatica ad affermarsi, mentre sul piano culturale il tecnico della produzione olearia, cioè il mastro oleario-frantoiano, solo dal 2014, con la legge della regione Puglia del 24 marzo n.9 ha visto riconosciuto il proprio campo di competenze e di azione nei confronti di tutta la filiera olearia.
Il nuovo millennio ha visto la nascita del frantoio artigiano, impresa olearia che produce il suo extra vergine e lo distribuisce sul mercato globale, e un nuovo ruolo del mastro oleario che è chiamato ad ottenere il migliore olio possibile con lo sguardo rivolto contemporaneamente ai mercati internazionali e al suo territorio, coniugando innovazione e tradizione.
Tutto ciò premesso è evidente che qualità e quantità del prodotto olio nascono sul campo, risultato di una rigorosa e specifica attività agronomica ed allora il ruolo del mastro oleario è anche quello di ricercare una collaborazione con gli olivicoltori che nella campagna olearia gli forniranno la materia prima per produrre il suo olio. Sarà quindi il mastro oleario ad affermare un sistema di monitoraggio e controllo delle lavorazioni colturali che favorirà anche una equa ridistribuzione del valore lungo la filiera.
Oggi si può parlare di un olio italiano eccellente, ma dobbiamo anche osservare che è un prodotto in estinzione. Ancora una volta è compito e dovere di chi sarà chiamato ad assolvere alla funzione di governo di promuovere politiche in grado di consolidare i risultati che le imprese olearie artigiane hanno conseguito, di favorirne lo sviluppo, e soprattutto opporsi a quelle manovre del COI che puntano a favorire l’olio spagnolo e nordafricano e a bandire la qualità dell’olio d’oliva dal mercato.
Avete mai immaginato un'interazione con l'AI ancora più intuitiva e creativa? ChatGPT 4o, ora nella…
L'otite è un'infiammazione che può colpire diverse parti dell'orecchio, tra cui l'orecchio esterno (otite esterna),…
Il consiglio di lettura di oggi è “Frontiera” di Francesco Costa,《un libro frastagliato e non…
Le auto moderne sono dotate di una serie di sistemi volti a proteggere il conducente…
L’almanacco di Naval Ravikant è una raccolta dei pensieri, dei twits, delle interviste dell’autore incastonate…
Greg Hoffman è un brand leader a livello globale, ex Chief Marketing Officer di NIKE,…