La nota che segue è stata scritta venerdì scorso nel primo pomeriggio quando ancora la situazione politica italiana era sì problematica e tuttavia ancora nell’ambito di un confronto democratico tra maggioranza di governo e opposizione. Senonché, in serata, l’intervento televisivo del presidente del consiglio, Giuseppe Conte, ha buttato all’aria ogni possibilità di collaborazione politica solidale se non unitaria, in un momento di eccezionale drammaticità per l’Italia. Quello marcato da Conte è un autogol oltre il 90′ minuto di una partita giocata sul filo dei nervi piuttosto che della ragione.
La situazione, ora, anche a livello europeo si fa per l’Italia estremamente più difficile, poiché essa si presenta ai prossimi cruciali appuntamenti comunitari (il 27 prossimo la riunione dei capi di stato e di governo per decidere sul “recovery plan”) senza una guida accettata e credibile. Per giunta, a complicare le cose è arrivata l’incomprensibile sortita del PD, che ha lanciato l’idea di una patrimoniale senza capo né coda, che avrebbe come unico effetto quello di colpire i cittadini che già assicurano il maggior contributo per le entrate fiscali, per ottenere una manciata di quattrini senza produrre effetti sostanziali sull’abbattimento del debito pubblico, che resta l’unica valida ipotesi per un ricorso di quel genere, con ben altra portata di ampiezza e con una motivazione morale, prima ancora che politica, come sarebbe quella di allentare la morsa, attraverso il debito accumulato, graverà sui giovani di oggi e sulle generazioni che seguiranno.
Le ragioni del conflitto politico in corso restano, aggravate, quelle descritte nell’articolo che segue, ma la situazione, adesso, appare del tutto compromessa ed è lecito attendersi una mossa del Quirinale sullo stesso presidente del consiglio Conte, non escludendo l’invito a lasciare Palazzo Chigi. L’antico detto romano: “Marco Aurelio scopre in oro” ben si adatta alle capacità di leadership dimostrate da Giuseppe Conte.
Roberto Gualtieri, ministro dell’Economia, se non proprio entusiasta è più che soddisfatto delle conclusioni a cui è giunto l’Eurogruppo in materia di interventi per sostenere la ripresa economico industriale dei paesi colpiti dalla crisi sanitaria. Giuseppe Conte, presidente del consiglio dei ministri, manifesta una prudente insoddisfazione sostenendo che il governo non cambia idea rispetto all’attivazione del Mes, il cosiddetto meccanismo europeo salva stati, che comporta restrizioni sulle politiche interne accompagnate da un’occhiuta supervisione della troika (Commissione Europe, Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale).
Il Partito democratico sostanzialmente fa scena muta, probabilmente per non screditare il commissario europeo di sua estrazione, Paolo Gentiloni, il quale non sembra abbia avuto grande voce in capitolo in tutta la vicenda.
Le opposizioni insorgono. Il capo della Lega, Matteo Salvini, populista di panza e di provata fede, non la manda a dire: se gli olandesi, che erano e restano i più decisi antagonisti delle sollecitazioni italiane, festeggiano, significa che per l’Italia è una nuova Caporetto. Giorgio Meloni, leader di Fratelli d’Italia, non è da meno, sostiene che l’Italia è stata messa sotto tutela, reclamando un immediato dibattito parlamentare per chiarire tutta la vicenda.
Vito Crimi, sottopancia dei 5Stelle, mentre il precedente capo Giggino Di Maio è indaffarato nella ricerca di mascherine antivirus, sentenzia che non è stata firmato o attivato il Mes, nonostante le ridotta condizionalità, e – aggiunge – non lo faremo.
Che senso hanno e cosa comportano queste contrastate prese di posizione? Per capire meglio è utile partire da un dato di fatto, vale a dire le risorse economiche e finanziarie, nazionali ed europee, sulle quali l’Italia può contare, anche nella prospettiva di un “recovery plan”, un piano di rilancio con fondi tratti sul mercato internazionale dall’Unione Europea. Sostanzialmente, tra i fondi della Bei (banca europea per lo sviluppo) 200 miliardi di euro per le imprese, il progetto Sure di 100 miliardi anti disoccupazione, di origine europea, più le misure adottate sul piano nazionale che potranno attivare diverse centinaia di miliardi di liquidità attraverso le garanzie statali e il sistema bancario, si può dire che c’è una massa finanziaria in grado di far fronte alla situazione.
Esiste, invero, un problema grande e centrale, costituito dal blocco pesante delle strutture burocratiche attraverso le quali quelle disponibilità debbono finire a beneficio dei cittadini più esposti, dei lavoratori che rischiano la disoccupazione, delle imprese che debbono riattivare le attività produttive. Questo è il vero ed eterno problema italiano. Altro incommensurabile problema nazionale è costituito dal sistema dei controlli, che avvengono a priori anziché, come sarebbe corretto e necessario, a posteriori. Questo fenomeno sommandosi al labirinto delle procedure burocratiche e a tempi biblici della giustizia, giammai si manifesti il suo intervento, rendono incerti i buoni propositi espressi dal governo e precari gli obiettivi da conseguire.
Ecco, queste sono quelle due o tre buone cose di cui non si sente parlare. Sono le “condizionalità” nazionali alle quali si dovrebbe mettere mano per evitare che davvero subentri la tutela di una qualsivoglia troika internazionale. Non dimenticando che, senza essere messa sotto schiaffo da avvenimenti negativi – i disastri o le guerre – l’Italia non ha mai dimostrato la volontà di intraprendere una strada di ricostruzione.
Il dubbio che questa ennesima lezione non venga compresa è forte! C’è però un aspetto di fondo che la querelle politica interna sottintende. Esso riguarda lo scontro, prossimo alla partita finale, tra il governo e l’opposizione e tra le stesse forze dell’attuale governo. Un partita doppia, che si gioca prima sul piano europeo poi, per ricaduta, su quello nazionale.
L’attacco di Lega e Fratelli d’Italia al compromesso raggiunto a Bruxelles mette in evidenza l’obiettivo populista di rovesciare le carte in tavola per andare ad uno scontro con l’Unione europea, mettendo in campo anche soluzioni come l’uscita dall’Euro, propedeutica alla minaccia di un’uscita dalla stessa UE qualora non cambi connotati addirittura istituzionali, ciò che Salvini indica come Europa dei popoli e non dei burocrati. La posizione assunta dai paesi del Nord Europa, con l’Olanda capofila, ma dietro cui si intravvede l’ombra della Germania, in questa crisi talmente grave, finisce per dare sostegno alle tesi della Lega. Forse, più consapevolmente di quanto sia dato supporre.
L’Unione Europea è davvero su un crinale drammatico, per la mancanza di una leadership forte che consente di trovare la forza di guardare avanti e di credere in se stessa, come è avvenuto in passato quando la linea era dettata da personaggi come il cancelliere tedesco Khol, il presidente francese Mitterand, il premier italiano Craxi e, da ultimo la cancelliera Merkel la cui stella va tramontando nel più liquido e modesto dei modi possibili. La partita europea, prima che l’esito – in un senso o nell’altro sia compiuto – ha un’influenza determinante sulla partita interna italiana. Il fatto che la crisi eviti la possibilità di ricorrere ad elezioni anticipate, rafforza lo scontro sotterraneo. Tutti giocano ad avere la carta vincente. La Lega e Fratelli d’Italia a far cadere il governo, Fratelli d’Italia a liberarsi dalla sudditanza elettorale nei confronti della Lega, il Pd a soppiantare i 5Stelle come forza guida dell’esecutivo, Italia Viva di Renzi a ritornare protagonista almeno nei “palazzi” prima di acquisire quel che resta di Forza Italia.
In questo marasma la barca del premier Conte è sbattuta tra le onde, sul punto di capovolgersi ma sempre restando a galla. Dato il quadro corrente, nessuno appare in grado di avere il sopravvento, ma ugualmente nessuno è capace di indicare una linea consistente per fronteggiare il problema che la crisi sanitaria si porta appresso, che non è solo il problema economico, ma prima ancora quello della visione con cui dominarlo, che richiede capacità di mettere in piedi la struttura organizzativa adatta e la capacità operativa per riuscire nello scopo. Qui, a fare da padrone sono le “condizionalità” nazionali sopra indicate.
Non esiste un prima e un dopo. Tutti i nodi sono venuti al pettine. Questa crisi sarà risolutiva, in un senso o nell’altro. Se c’è un leader democratico che sente di avere le capacità per farlo batta un colpo. Il tempo è scaduto. La fine della partita può deciderla il Presidente della Repubblica.
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