8 anni di recessione hanno cambiato molte cose. Ma sembra che lo abbiamo già dimenticato. Forse è il frastuono di una eterna campagna elettorale e di una brutta crisi di governo.
Abbiamo assistito ad un progressivo mutamento dei mercati come effetto della crisi, e l’effetto della crisi è stata la crisi dei consumi. Poi i primi segni di una ripresa che iniziata lenta sembra già arrestarsi.
Non sarà sufficiente inaugurare un nuovo governo. L’impresa artigiana o industriale del cibo, che costituisce il tessuto produttivo del mondo agroalimentare italiano, si è sempre trovata di fronte ostacoli che hanno impedito il successo pieno del suo prodotto. Il problema principale è il valore, perché non è sufficiente fare “prodotti di qualità”, ma è necessario far nascere “mercati di qualità”. E questo è compito della politica.
Prima della crisi il supermercato era al centro del sistema di distribuzione del cibo, oggi non è più cosi. E’ cambiato il rapporto tra cibo e consumatore. Il rapporto si è modificato non solo dal punto di vista del valore dello scontrino, come hanno spesso segnalato i centri-studio della grande distribuzione, ma anche nella scelta dei luoghi dell’acquisto. In questi anni è cresciuta una cultura salutistica e una educazione alimentare che si manifesta in atteggiamenti di ricerca e acquisto di prodotti ad alto valore aggiunto: sono sempre di più i cittadini che chiedono di sapere, di conoscere, di imparare.
Prima i corsi per conoscere il vino, poi quelli per imparare a cucinare, poi le ricette, in tv e sui giornali. E alla fine persino un EXPO. E’ cresciuta, giorno dopo giorno, una domanda di prodotti biologici, sono nate nuove tendenze e la richiesta di un cibo buono, sano e nutriente: sono segnali di un cambiamento che partendo dal cibo ha investito gli stili di vita. È vero che la maggioranza dei consumatori continuano a fare la spesa al supermercato, ma spesso questo si mostra incapace di dare tutte le risposte alla nuova sensibilità del consumatore. Perchè “vendere” alimenti non è più sufficiente e prodotto industriale non è sinonimo di “qualità”. E allora il problema non si risolve robotizzando lo scaffale e rivendicando fedeltà con i prodotti a marchio.
Nell’ultimo decennio si è affermato il km zero, è nato il turismo gastronomico. Nei supermercati sono comparsi gli scaffali specializzati e i prodotti “premium price”. Poi Farinetti ci ha offerto di comprare quello che abbiamo mangiato. E infine internet ci ha portato in casa la immensa vetrina di Amazon e la spesa la facciamo sul computer. Big e small, grande e piccolo convivono: il piccolo negozio di prossimità recupera il terreno perduto, nascono le botteghe specialità e i mercati rionali tornano ad animarsi. Il commercio del cibo cambia pelle e il consumatore ha cambiato abitudini.
E quindi anche la ristorazione cambia. I consumatori sono sempre meno interessati alla ristorazione classica, ricercano particolarità e specialità. Sempre più spesso non si accontentano di un’offerta standardizzata, vogliono capire cosa c’è dentro il piatto, quali sono i prodotti usati per il menù che gli viene proposto. Sempre più spesso a tavola vogliono vivere una vera, diversa esperienza.
Dal supermercato ai ristoranti nasce una domanda nuova fatta di cultura e piacere, di ricerca e salute che non può essere soddisfatta dalla offerta standardizzata dell’industria e che suona come una vera sfida per gli artigiani del cibo. Una sfida che si può vincere ma alla condizione di fare sistema e di creare un nuovo mercato. Ancora una volta un compito per le classi dirigenti.
Sullo scaffale, nella vetrina o sul computer il consumatore cerca un cibo sano e buono, al giusto prezzo, garantito dalla trasparenza e tracciabilità della filiera produttiva, dalla corrispondenza tra indicazioni dell’etichetta e contenuto della confezione, dalla garanzia della pubblica autorità sulla non tossicità dei prodotti. “Eravamo abituati ad un immagine del consumatore figlio della società consumistica, un soggetto “debole”, facile preda dei messaggi pubblicitari dei grandi mezzi di comunicazione – ha osservato Ivano Giacomelli, leader di Rete Italia Consumatori – Il consumatore attuale ha acquisito autonomia di valutazione, indipendenza di giudizio e gioca un ruolo attivo nella ricerca del prodotto da acquistare. Ma ciò che contraddistingue maggiormente il consumatore di oggi è certamente la sua propensione alla “ricerca” del prodotto attraverso l’utilizzo di nuovi canali che esulano da quelli tradizionali. Tale condizione porta il Consumatore a chiedere nuovi servizi in grado di fornirgli quelle informazioni necessarie ad uscire dallo “stato di confusione” indirizzandoli verso l’individuazione dei prodotti che rispondono alla sua “attualità culturale”.
Oggi il consumatore è consapevole che l’uso del suo denaro come mezzo di scambio per l’acquisto del cibo non consente sprechi. E sa che ha due diritti non negoziabili, la salute e il “valore” del lavoro.
I consiglieri comunali e regionali, i parlamentari, gli uomini di governo che girano per il territorio alla continua ricerca del consenso ricordino che la “rivoluzione dei consumatori” è fatta di diritti della persona. E il cibo buono, sano e nutriente è un diritto del cittadino.
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