Fino a qualche anno fa non creava difficoltà gustare una zuppa di pesce in una trattoria tipica o ristorante famoso della costa laziale, anzi alcuni ristoratori erano famosi per questo piatto. Del resto è stato sempre difficile preparare una zuppa di pesce in casa per cui si era costretti a mangiare in trattoria volendo rinnovare il piacere della zuppa.
A Civitavecchia dal Gobbo e alla Moretta la zuppa di pesce trionfava sulla tavola ed era per tradizione sempre garantita. Oggi su dieci ristoranti fra i più rinomati dell’area civitavecchiese solo uno ha inserito la zuppa nel menù giornaliero mentre altri hanno richiesto una prenotazione di almeno due o tre giorni di anticipo. Non a caso un sindaco di Civitavecchia annunciò, non so con quale risultato, di chiedere il riconoscimento DOC per questo piatto tipico tradizionale. Non mi meraviglia sapere che in trattoria solo più
avventori insieme possono pretendere la zuppa, sapendo anche che il piatto ha un costo diverso da quello di piatto di spaghetti. Molti preferiscono una zuppa di frutti di mare oppure un sauté, due piatti che hanno il pregio di evitarci le lische di pesce, seppure qualcuno ritenga che proprio la presenza delle lische permette di assaporare meglio il pesce. L’ho gustata di nuovo recentemente per merito di un’amica che mi ha invitato per farmi un regalo. Ho visto commensali che introducono la testa del pesce in bocca e con un movimento repentino delle labbra e della lingua spremono la testa per assaporare tutto il gusto del pesce senza farsi trafiggere, trattenendo in bocca ciò che non va ingoiato.
Sempre dalla mia amica colta ed esperta vengo a sapere che fino a cinquanta anni fa la zuppa di pesce era un piatto dei poveri. Tutti potevano cucinarlo soprattutto se si possedeva un pezzo di rete da gettare in acqua e una piccola barca sconnessa ma capace di allontanarsi poco distante dalla riva. Ogni giorno si portava a casa mezzo secchio di pesce anche quello di scoglio più che sufficiente per le esigenze dell’intera famiglia. Oggi le leggi vigenti non consentono più di buttare liberamente le reti perché bisogna avere la licenza da pescatore e conoscere gli altri metodi consentiti, lenze e coffe che non offrono la possibilità di catturare pesce di scoglio. Inoltre come asseriscono i pescatori, nessuno tra di loro ha più voglia di passare nottate e giornate dietro ad una pesca difficile e scarsamente redditizia.
Lei ha ancora il ricordo delle bombe fatte scoppiare dai pescatori di frodo per realizzare una pesca miracolosa, raccogliendo il pesce tramortito o lasciato arenare.
Il bottino veniva pulito subito conservandone la freschezza con ghiaccio. La pesca veniva completata staccando patelle, cozze e conchiglie dallo scoglio. Sul bagnasciuga bastava affondare la mano nella sabbia per riempirla di grosse telline bianche oggi assai rare.
Allora la famiglia aveva terminato quella che la mia ospite definiva “la prima fase di approccio ad una vera arte della sopravvivenza”. Il giorno dopo le donne di casa, di buon mattino erano pronte a dedicarsi al solito rituale della preparazione della zuppa. Per prima cosa si avviava il brodetto con un soffritto di aglio, olio, un’alice, gambi di erbette, poco pomodoro. Quindi vi si buttava la “mazzumaja” quel pesce al quale non si poteva affidare altro ruolo perché troppo piccolo, facendolo macerare lentamente, con aggiunta di poca acqua per non disperdere il sapore. Poco sale e una bollitura lenta ma non troppo lunga onde evitare di incorrere in un sapore amarognolo. Poi si filtrava il tutto con il colabrodo spingendo la poltiglia il più possibile. Quel brodetto era prezioso per allungare il sugo nel quale venivano cotti il polpo, le seppie e i crostacei.
Quando il pesce era scarso, allora si usava esaltare il sapore aggiungendo due sassi ricoperti di alghe insieme al soffritto piccante e ricco di pomodoro. I pesci più grandi venivano “calati”, a seconda della qualità e la consistenza, in cottura facendo attenzione a non cuocerli un minuto di più perché la polpa
del pesce non perdesse la compattezza. La triglia, soprattutto, dimostra la sua fragilità e non va persa di vista dato che pochi minuti sono sufficienti per cuocerla. Per ultime si aprivano le cozze e le telline spurgate dalla sabbia…
Finalmente la zuppa è pronta. Alla base due fette di pane fritto su cui viene adagiato con cura il pesce a disposizione immerso in quel sughetto denso e saporito. Oggi per seguire la stessa procedura bisogna attendere di buon mattino le barche nel porticciolo e salire subito sulle barche per arrivare primi a scegliere il pesce ed evitare che il polpo scappi. A volte è necessario tornare il giorno dopo per completare la selezione dei pesci. Soddisfazione ed orgoglio non sfuggono a chi sa apprezzare la buona riuscita del piatto.
Pensando alle innumerevoli variabili che possono caratterizzare una zuppa di pesce nel nostro paese si può facilmente confermare il famoso aforisma: “paese che vai…zuppa che trovi”. Tutte le ricette prevedono l’impiego del pesce di scoglio purché freschissimo. Il pesce deve sguazzare nel brodetto che prende gli aromi del timo, della maggiorana, di erbette varie e anche di un pizzico di noce moscata. L’efficacia di questa ricetta è esaltata dalla cottura in un tegame di coccio. In alcune aree della Sicilia è facile la presenza dell’uvetta, dei pinoli, dei capperi e delle olive nere.
Altre ricette in altre regioni d’Italia differiscono per gli aromi impiegati e perché in sostanza viene data la preferenza ad un tipo di pesce piuttosto che ad un altro. Il cacciucco è la zuppa tipicamente livornese che gode in Italia di grande stima per la sua raffinatezza. La somiglianza con la zuppa di pesce di Civitavecchia appare evidente per la qualità e la varietà del pesce e ancor più per il procedimento di cottura. Nonostante la sua fama anche a Livorno è uno dei piatti meno richiesti a causa della fretta dei ristoratori e dei clienti e dell’impegno richiesto in cucina dove la stessa mano d’opera può essere dedicata alla preparazione di piatti buoni più semplici e più redditizi.
E’ comprensibile che tra i ristoratori sia nata una sorta di sfiducia nel proporre questo piatto annoverandolo tra quelli caduti in disgrazia. Reperire il pesce di scoglio crea difficoltà e perdita di tempo; l’impegno per la preparazione del piatto è notevole; l’atteggiamento dei consumatori è cambiato e tale da non favorire il mantenimento di questa tradizione della gastronomia delle località della costa scogliosa. Varrebbe la pena di mantenerlo in vita perché è un piatto eccezionalmente gustoso e insostituibile.
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