Quante cose sono cambiate ma soprattutto la domanda è: quanto siamo cambiati? Bisogna riavvolgere il nastro a quando pensavamo di essere consapevoli della nostra vita “normale”. Come si può affermare che poi tutto sommato non è cambiato molto, è cambiato molto, troppo.
Iniziamo la mutazione prima sorpresi, stupiti, attoniti, qualcosa ci minaccia e ci minaccia tutti indistintamente, poi arrivano piccole gocce che possono drammaticamente sconvolgere le nostre vite. Neanche riusciamo a capirne di più che veniamo chiusi in una bolla, una clausura forzata, una strana dimensione di isolamento che si trasforma in resistenza, in speranza, in stupore, in una ricerca spasmodica di trovare una dimensione, un equilibrio. Nel frattempo il dolore delle perdite, lo strazio di non poter salutare i propri cari, la morte a cui non eravamo pronti, ma tutti increduli, come in un incubo abbiamo affrontato mesi in cui la distanza era diventata la parola d’ordine.
La diffidenza aveva invaso d’improvviso le nostre vite, e poi come per magia si è ripreso ad uscire, quello strano giramento di testa che prende quando si rimane chiusi, quando le vertigini di scendere le scale e trovarsi a fare quattro passi in semilibertà diventano l’Eldorado, quando il silenzio viene interrotto non dalle ambulanze ma dal vociare dei bambini per strada, quando scopri che ti mancavano i clacson e le frenate brusche. La vita ritorna con il sole, con il caldo, con la voglia di lasciarsi dietro un momento storico che ci ha indebolito e rafforzato, che ha lasciato ansia, paura e incertezze che erano celate da vite turbolente e così basta pochissimo perché per molti la voglia di vivere e di ritornare alla consuetudine siano riuscite ad appannare i ricordi e anche il buon senso.
Io che non ho mai potuto fare a meno degli altri, dei sorrisi, del bar, delle cene, delle feste, della gioia di vivere insieme a molte persone, io che ho sempre organizzato feste, incontri, eventi , io si proprio io una nota casinista, che non vedeva l’ora di ritrovarsi in mezzo alla folla, appassionata di bazar e mercati, di feste danzanti e di concerti ,io sono sempre io quella che inizia ad avere paura degli altri, io che quando dicevo a mio marito ho invitato poche persone, leggevo nei suoi occhi il panico misto a rassegnazione.
Oggi, o meglio ieri mi sono ritrovata in campagna a riflettere che sono cambiata con il virus, so anche perché, perché il mio maledetto senso di responsabilità è più forte della mia allegria, perché avendo perso degli affetti cari e non avendo mai rimarginato le ferite tremo al terrore di perderne altri, perché credo nella scienza e nella medicina e sento che tutto questo avrà una fine e allora potrò cantare e ballare per strada , potrò ritrovarmi ad un concerto di Jovanotti sulla spiaggia della Darsena di Viareggio insieme a migliaia di persone, credo che potrò ritornare a viaggiare per il mondo abbracciando e baciando gli amici, perché mi manca il Jome bazar di Tehran, perché la “via della seta” è nel mio sangue e perché voglio riabbracciare forte mia madre e dirle che è finita.
Tra le lacrime e le mie elucubrazioni mentali, mentre per un po’ ho temuto di aver perso una parte di me, la parte più solare del mio carattere, quando ho iniziato a temere di essermi trasformata, rinchiusa in un mondo che non è il mio, ho scavato più a fondo e ho riflettuto, la verità è che amo troppo gli altri per immaginare di perderli. Sono io, non sono cambiata, non ho smesso di amare gli altri, li amo di più perché vorrei proteggerli da tutti e da tutto anche da me e allora le mie lacrime non sono quelle di una sciocca ma sono le lacrime di chi soffre e si sfoga, di chi si commuove perché è disposta a tutto pur di ritrovarsi a ballare gli Abba nel giardino della Casa delle Donne con tanti amici, sudata , felice, inarrestabile anche se il fiato e il fisico non sono quelli di una diciottenne.
E allora va bene la mascherina ovunque e comunque, va bene il gel che consuma le mani, va bene la distanza, va bene resistere nel toccare e abbracciare le persone care, va bene tutto ma io voglio che le mie lacrime siano solo per momenti di sconforto e di commozione, le mie lacrime devono rimanere mie e non per altri. La vita è troppo bella e che senso ha viverla in solitudine, che senso ha non condividere, ma se oggi non posso farlo sono disposta ai sacrifici, alle regole, ai DPCM, pur di tornare presto a sentire il profumo delle mie amiche baciandole, il sudore di una pista da ballo, l’odore di popcorn dei cinema, quell’odore del velluto dei teatri, l’odore della pelle di mia madre e la voglia di baciare e abbracciare gli amici di sempre, ho voglia di rivedere i sorrisi delle persone.
“Le lacrime di oggi sono gli arcobaleni di domani”.
(Ricky Nelson)
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