E’ probabile che sia nella natura umana dare prevalenza alle emozioni sul raziocinio; e che, quindi, tutti i tentativi di quegli scrittori e sociologi che vorrebbero indurre l’Uomo a fare uso della logica, del raziocinio pacato (astenendosi dal facile vituperio contro chi non la pensi come lui) siano destinati al fallimento.
E’ altrettanto verosimile, però, che la constatazione che precede riguardi più da vicino soltanto i popoli che hanno smarrito il senso e la via obbligata della politica. Questa attività pratica, rettamente ed etimologicamente intesa, dev’essere diretta a fare, soprattutto (meglio sarebbe dire: soltanto) gli interessi della polis (idest della loro comunità organizzata).
Compito dei rappresentanti e dei governanti eletti non può e non dev’essere quello di perdersi in vagheggiamenti e pensieri di utopie ecumeniche e universali, propagandati, per fini di proselitismo, da fideismi religiosi e da fanatismi ideologici (di destra e di sinistra).
Ciò può procurare, infatti, nel popolo votante cocenti delusioni.
Considerate ormai, “ineludibili” e “inevitabili” (dopo i tanti tentativi falliti di una classe dirigente, dimostratasi, oltre che incapace, profondamente corrotta) esse rischiano di condurre alla “disaffezione” alle urne, pericolo mortale per la democrazia. La prevalenza delle emozioni sul raziocinio sembra essere diventata la cifra di riconoscimento della borghesia italiana.
Non si spiegherebbe altrimenti perché ancora oggi, nella “civile” penisola, gentiluomini che non hanno dimenticato la cravatta e il doppio petto e gentildonne con l’uso di buone maniere (e con la pratica costante e rituale del tè pomeridiano) fanno ricorso, quando saltano fuori nella conversazione i nomi di Donald Trump e di Boris Jonhson, a tutti gli improperi più violenti e spesso volgari escogitati, a suo tempo, dagli “intellettuali” del Duce contro la “perfida Albione” e avverso le pluto-giudaico-massoniche democrazie anglosassoni.
Epiteti irripetibili in uno scritto che intende essere temperato, sono pronunciati dalla nostra borghesia, (dall’alta alla media, metropolitana o provinciale) con una voluttà che poco si addice alle compassate professionalità e alle “buone maniere” dimostrate nella vita quotidiana.
Perbenisti e benpensanti, che pure hanno visto aggirarsi tra le mura di casa, per periodi di tempo non indifferenti, chiome lunghe e cadenti di una prole che dichiarava di ritenersi “figlia dei fiori”, s’indignano oggi guardando i riporti biondastri di Donald Trump che, forse, tentano di nascondere un’incipiente calvizie e la capigliatura scompigliata di Boris Johnson, che probabilmente deve fare i conti con incontrollabili “vertigini” del cuoio cranico.
Vedere quei gentiluomini borghesi, impettiti e incomprensibilmente sdegnati, e le loro consorti, ex cotonate, ma tuttora “finte bionde” (come nel film di Carlo Vanzina) inveire ripetutamente contro le immagini televisive o fotografiche dei due leader anglosassoni non apre il cuore alla speranza per il futuro dell’Italia.
Sono scene che tradiscono e rivelano la più totale incomprensione dell’opera meritoria che Trump e Jonhson stanno compiendo per sottrarre i loro Paesi all’oligarchia asfittica dei padroni delle Banche occidentali e per riprendere una politica di forti investimenti industriali. E’ gente che, evidentemente, non usa la ragione (logos) ma il risentimento emotivo e irrazionale (tumòs) e non comprende l’utilità di una politica che intende destinare i soldi dei contribuenti alla “produzione” di beni materiali, immateriali e di servizi (anche diversi da quelli bancari) e non al ripiano di deficit degli Istituti di credito per disastri da “bolle” inventate e costruite per smodata sete di guadagni, per mancate riscossione delle rate dei mutui e per pagamenti, sottobanco, elargiti a organizzazioni non governative incaricate di aiutare (attraverso il traffico umano di lavoratori a basso costo) le imprese claudicanti con difficoltà nel pagamento dei debiti bancari contratti.
Non basta.
Notisti politici, che pur si dichiarano dotati di “cristiana” rassegnazione di fronte alle ripetute, ataviche e secolari malefatte della italica classe politica successiva a quella della Roma Repubblicana (e cioè, dopo il “cambio” lento ma progressivo e inarrestabile “delle radici” divenute, per innesto, ebraico-cristiane) e mai cambiata dai tempi di Dante, si dicono sconvolti dalla presenza dei due leader anglosassoni e si sforzano di cercare il pelo nell’uovo anche in tutte le dichiarazioni ufficiali (e non) dei loro collaboratori più stretti (Pompeo è uno dei bersagli preferiti), ritenuti colpevoli di condividere forme di “unilateralismo” inconciliabili con il concetto che essi stessi giudicano “fumoso” di civiltà occidentale!
O tempora o mores, diceva Cicerone; e noi possiamo aggiungervi anche quel punto esclamativo che ai suoi tempi non esisteva ancora!
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