In occasione della giornata mondiale dell’alimentazione del 1993 il ministero per i beni culturali e ambientali ha pubblicato tre poderosi volumi che raccolgono, sotto il titolo “cucine della memoria“, testimonianze bibliografiche e iconografiche dei cibi tradizionali italiani tratte da biblioteche pubbliche e istituzioni statali.
La discoteca di stato ha contribuito con la registrazione di una intervista ad Emanuele Pacifici condotta da Alberto Mondadori e redatta da Biancamaria Zaccheo dal titolo tradizioni della cucina ebraica romana del portico d’Ottavia.
Il portico d’Ottavia fa parte del ghetto e era la sede del mercato del pesce, certamente pittoresco ma sporco e maleodorante specie se il pesce non veniva dalla vicina costa laziale, ma addirittura dall’Olanda. Al di là del fascino evocativo della conversazione tra l’ intervistatore Emanuele Pacifici, padrone di casa, e Giacomo ed Enrica Moscati presenti in quella occasione. Il testo è molto singolare, perché dispensa interessanti informazioni sulle abitudini alimentari e le tradizioni gastronomiche degli ebrei romani che vuol dire dei romani stessi di fine Ottocento e talvolta del primo novecento. Emanuele Pacifici figlio del Rabbino Capo di Genova è nato nel 1931 e conserva pertanto buona memoria delle tradizioni della famiglia e del ghetto.
La redattrice ha lasciato intatto il testo registrato così da dare l’impressione di ascoltare l’intervista in diretta. Per il taglio tipicamente romanesco della conversazione sembra di leggere la sceneggiatura di una commedia all’italiana, quando ci godevamo le interpretazioni di Fabrizi, di Sordi, di Manfredi.
La ricchezza del testo permette di estrapolare informazioni riguardanti cibi e piatti in gran parte scomparsi e in parte sconosciuti anche agli stessi ebrei giovani, ma in parte ancora oggi usuali.
Esordisce Pacifici ricordando che la cucina ebraico-romanesca è basata molto su piatti poveri perché c’è il retroterra di tutti gli anni in cui la gente è stata chiusa nel ghetto e quindi ha dovuto scervellarsi per tirar fuori un passo da cose poverissime, come le uova o la testa di pesci, che gli ebrei cercavano nei rifiuti dei grandi alberghi con la scusa che li avrebbero dati da mangiare al gatto.
Ecco una sorta di antologia gastronomica che potrà interessare non soltanto i romani, e che rappresenta una chiave di lettura della storia moderna.
Le ricette variano a seconda della tradizione gastronomica delle singole famiglie.
Alcuni piatti della cucina povera sono entrati a far parte oggi della gastronomia ricercata e sono presenti nella cucina quotidiana casalinga o nei menù dei comuni ristoranti romani. Basta pensare alla coratella, ai filetti di baccalà fritti, al fritto vegetariano, ai carciofi alla giudia, alla tasca, alle zucchine marinate.
Non è difficile immaginare come la cucina ebraica abbia influenzato quella romana Cristiana o viceversa. Crescenzo del Monte (1868 – 1935) è un ebreo Romano autore di numerose poesie che descrivono la vita del ghetto nel quale lui stesso ha vissuto. Il suo intento era quello di complementare il monumento belliano al popolo di Roma con l’ascolto degli ebrei costretti a vivere nel ghetto. Su 400 sonetti sono pochi quelli dedicati all’argomento alimentazione, forse a causa dei vincoli posti dalla religione. Alcuni fanno riferimento a pietanze tipiche della cucina ebraica ignorate dalla cucina Cristiana (la pizza giudaica, il pane azzimo, il salame di manzo, la ricetta della maionese, la carne casher) altri alle ricorrenze e a qualche personaggio curioso.
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