Natale in Casa Cupiello
di Edoardo De Angelis. Con Sergio Castellitto, Marina Confalone, Adriano Pantaleo, Toni Laudadio, Pina Turco. Italia 2020
La storia è nota: Luca Cupiello (Castellitto), tuttofare di una tipografia, come ogni Natale si accinge a fare il presepe, osteggiato dalla moglie Concetta (Confalone) – sulla quale grava l’onere di tutte le difficoltà familiari che il superficiale marito non percepisce nemmeno – e dal figlio Tommasino, detto Nennillo (Pantaleo), dispettoso e un po’ regressivo. I guai non mancano certo: Nennillo, profittando di un infreddatura dello zio Pasqualino (Laudadio), che vive con loro, gli ha rubato i pochi soldi che aveva con se e gli ha venduto cappotto e scarpe, mentre la figlia Ninuccia (Turco) – sposata con il ricco commerciante Nicola (Antonio Milo) per volere dei genitori – ha una relazione con Vittorio (Alessio Lapice) con il quale vorrebbe fuggire. Arrivano per il cenone Nicola e Ninuccia e quest’ultima fa vedere alla disperata madre la lettera di addio che ha scritto al marito; Concetta, in lacrime, la convince a gettarla via ma sarà l’ignaro Luca, leggendo l’intestazione sulla busta, a consegnarla al genero e sarà sempre lui ad invitare a cena Vittorio, scambiandolo per un amico del figlio e ignorando i dinieghi di Concetta, che crede dovuti a tirchieria. Esplode la tragedia e Nicola accusa i Cupiello di tener mano alla tresca. Luca, sconvolto, ha un ictus. Sul letto di morte, pianto dalla famiglia di nuovo unita (con Nennillo che rivela una dolente coscienza adulta), dopo aver involontariamente insultato il dottore (Andrea Renzi), Luca fa l’ultima gaffe: sotto gli occhi del marito, si fa promettere da Ninuccia e Vittorio (che, nel delirio della malattia, ha confuso con Nicola) di stare insieme per sempre.
E’ ovvio che un autore come Eduardo venga rappresentato e re-interpretato in mille modi (proprio Natale in casa Cupiello ha avuto da poco – per il Teatro di Roma – una funebre messa in scena con accenti brechtiani di Antonio Latella) e a questo film di De Angelis – e alla generosa produzione Picomedia – trasmesso il 23 si può certamente riconoscere il merito di aver portato un gran pezzo di teatro con un ottimo cast a trionfare nella prima serata di Rai1. De Angelis ha al suo attivo una bella filmografia, nella quale spiccano lo splendido Indivisibili e l’intenso Il vizio della speranza e, inevitabilmente, ha dato un forte tocco personale all’operazione: i suoi attori-feticcio (la moglie Pina Turco e il bravissimo Massimiliano Rossi, nel cameo fuori testo di un artigiano dei presepi) le scenografie, i costumi e le luci cupamente desolate ci portano nel suo mondo ma contribuiscono a travisare il testo originale (deve essere questa la ragione per la quale – pur in un assoluto rispetto dei dialoghi e del plot della sua commedia – Eduardo De Filippo viene indicato solo come soggettista). Non va dimenticato che alla prima stesura, Natale in casa Cupiello (messo in scena per la prima volta dalla Compagnia del Teatro umoristico “I De Filippo” a Natale del ’31) era un atto unico, sostanzialmente coincidente con il secondo atto della commedia che conosciamo, non a caso il più comico dei tre. Qui sta il punto: Eduardo era figlio della grande tradizione degli Scarpetta (aveva recitato, da bambino, con il padre biologico Eduardo e, da giovane, con i fratellastro Vincenzo) e, anche nei testi più drammatici, sapeva inserire irresistibili spunti comici che arricchivano e umanizzavano i personaggi e le situazioni. Inoltre, con feroce autocritica, “era” i personaggi – dispotici, sognatori e caparbi – che interpretava: il burbero e vendicativo Ferdinando Quagliuolo di Non ti pago, il disilluso Gennaro Iovine di Napoli milionaria, lo spocchioso Domenico Soriano di Filomena Marturano, il fantasioso guitto di Uomo e galantuomo sono tutte facce del nostro più grande attore-autore del secolo scorso.
Non si può certo dire niente della prova degli interpreti del film tutti bravi (il mio preferito è Adriano Pantaleo: quanta strada dallo Spillo di Amico mio!) a partire da Castellitto (pretestuoso rilevare il suo non essere napoletano: sono stati ottimi interpreti di commedie eduardiane, tra i tantissimi: Laurence Olivier, Marcello Mastroianni, Renato Rascel non certo partenopei doc) ma alla fine della visione delle cupe vicende di una famiglia disfunzionale (come l’ha definita Castellitto) senza i vitali guizzi di ironia che rendevano quelle miserie “speciali”, il film fa tornare in mente la poesia di Eduardo:
‘O rrau
‘O rraù ca me piace a me
m’ ‘o ffaceva sulo mammà.
A che m’aggio spusato a te,
ne parlammo pè ne parlà.
Io nun sogno difficultuso;
ma luvàmell”a miezo st’uso.
Sì, va buono: cumme vuò tu.
Mò ce avèssem’ appiccecà?
Tu che dice? Chest’è rraù?
E io m’a ‘o mmagno pè m’ ‘o mangià…
M’ ‘a faje dicere na parola?
Chesta è carne c’ ‘a pummarola.
Come dire: mme piaceva ‘o presebbio, chesto l’aggio guardato ppe’ m’ ‘o guardà.
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