E’ passato più di un mese dalle elezioni del nuovo parlamento, il governo, come era corretto facesse, ha presentato le sue dimissioni, avendo avuto la fiducia delle due camere nella vecchia e non nella nuova composizione, ma del nuovo governo non si vede nemmeno l’ombra.
Gli esperti prevedono che se ne parlerà, se tutto va bene, entro la prima metà del prossimo mese di maggio: sono troppi a proclamarsi (a torto o a ragione) i vincitori delle elezioni, e trovare un accordo per istituire una maggioranza parlamentare che dia la fiducia al nuovo governo si sta dimostrando cosa assai difficile.
La difficoltà non sembra esser poi tanto governare i quasi 60 milioni di italiani, cosa certamente non semplice, quanto individuare chi dovrà sedere sulla poltrona più alta di Presidente del Consiglio.
L’ambizione comune sembra essere quella di diventare come quel Re “cche ddar palazzo mannò ffora a li popoli st‘editto: «Io sò io, e vvoi nun zete un… (cercare la rima con palazzo non è difficile) sori vassalli bbuggiaroni, e zzitto». L’esempio non è forse dei migliori ma rende abbastanza fedelmente l’aria che si respira nei palazzi romani della politica.
Ai programmi elettorali nessuno sembra più pensare: sono sempre più simile alle antiche favole che servono a far addormentare dolcemente i bambini (in questo caso gli elettori al momento del voto).
Alla fine un governo si farà, come si è sempre fatto, mettendo insieme le cose più eterogenee, un po’ come Trilussa indicava per la canzone romanesca: “Méttece San Giovanni, «Facciafresca», la spighetta, er garofeno coll’ajo, er bacetto, le streghe, quarche sbajo, e fai la canzonetta romanesca”.
Speriamo solo che il nuovo governo di sbagli ne faccia pochi: il paese rischia di precipitare in un baratro economico e l’Europa non sembra proprio propensa questa volta a fare finta di niente.
Apollo e Dafne (Ovidio, Metamorfosi, libro I). “Fer pater… opem… qua nimium placui mutando figuram!”.…
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