Torna in libreria per i tipi di Verdone Editore “Osteria. Guida spirituale delle osterie italiane da Verona a Capri”, pubblicata da Hans Barth (1862-1928) in Germania nel 1908 e, nel 1910, in Italia. Barth è stato per quarant’anni corrispondente in Italia del “Berliner Tageblatt”, importante quotidiano politico liberale tedesco. A curare la nuova edizione della Guida spirituale è Enrico Di Carlo, saggista, pubblicista e studioso dannunziano, che nella dettagliata prefazione al volume, sottolinea la portata culturale del lavoro di Barth: “È la guida di un’Italia scomparsa osservata da un eccentrico punto di vista: l’osteria. Essa assume un valore particolare in quanto è al tempo stesso meta e punto di partenza del viaggio, il luogo ove Barth trova occasione per raccontarsi con le sue passioni di uomo e di letterato. Dove le sue debolezze messe in scena su quell’umile palcoscenico, sono in fondo le debolezze di uomini e donne ben lontani dai canoni estetici dannunziani. Quelle pagine sono la testimonianza sontuosa e al tempo stesso originale, dell’amore dell’autore per la nazione che lo ha ospitato per oltre quarant’anni”.
Giornalista tedesco con residenza a Roma alla fine del secolo XIX°, Hans Barth effettuò un censimento di tutte le osterie, bettole, mescite disseminate fra Verona e Capri, ma con una spiccata dedizione per le Osterie Romane. Il “doctor” Barth, era un tedesco “romanizzato” al punto da voler essere seppellito nel cimitero protestante di Testaccio, visse lungamente a Roma dove era conosciutissimo negli ambienti artistici e letterari. Spesso, dopo aver bisbocciato tutta la notte, attendeva l’alba in qualche buona osteria e sempre, dopo parecchi litri “de quello bbono” gli potevano “apparire” dal fondo… la divina Saufeia o: la dolce compagna di Goethe, Faustina. Nel suo libro “Osteria Kulturgeschichtlicher Führer durch italiens schenken” del 1908, (di cui arrivò ben presto una roboante traduzione in Italiano con prefazione di Gabriele D’Annunzio), egli guida l’inesperto assetato nelle migliori osterie della città, lo invita poi alle libagioni fuori porta e conclude infine il giro in un tinello o in una frasca dei Castelli. Di ogni locale descrive l’ambiente, gli avventori e l’oste con la famiglia al completo, non dimenticando mai di segnalare piatti tipici e vini, è ovvio.
Molto più di una semplice guida enogastronomica, la Guida di Barth poteva fregiarsi della lunga prefazione di Gabriele d’Annunzio, redatta in forma di epistola, datata Marina di Pisa, ottobre 1909. Da sagace manager di se stesso, d’Annunzio sfruttò la cassa di risonanza del Corriere della Sera di Luigi Albertini, che prontamente aveva ristampato la lettera dannunziana, indirizzata al “Mio caro Hans Barth”, con il titolo “Un itinerario bacchico”. Così il poeta l’aveva anticipata a Milano: “Mio caro Direttore, il dott. Hans Barth, un eccellente giornalista tedesco, ha scritto una bizzarra Guida delle osterie d’Italia; che, tradotta in italiano, sarà pubblicata fra una decina di giorni. Il volume recherà una mia prefazione, piena di curiosi aneddoti personali: circa due colonne del Corriere. È la prefazione dell’Astemio al libro del Beone. Se la vuole, mentre Le preparo altro, mi telegrafi; e Le spedirò il manoscritto” (9 febbraio 1909). D’Annunzio aveva fiutato il carattere innovativo del lavoro di Barth, che ebbe un successo di pubblico straordinario e inaugurò il genere della letteratura di viaggio enogastronomico. Il libro rispecchia la personalità poliedrica e sui generis dell’autore, che non fece mai mistero della sua passione per la buona tavola, alimentata pasteggiando nelle osterie del nostro Paese. Oltre trecento i locali visitati da Verona a Capri, tra osterie, bar, taverne e birrerie, con una congerie di informazioni su cibi, vini, sughi, clienti. Si disegnano così i contorni di una guida spirituale, che guarda ai piatti quanto alle persone, nel tentativo di scandire le tappe di un diario di viaggio nella quotidianità, senza rinunciare all’aneddotica colta e raffinata.
La novità dell’opera fu subito riconosciuta da Giuseppe Antonio Borgese, che in un articolo apparso su La Stampa, il 6 dicembre 1908, la definiva una sorta di “apoteosi gargantuesca della terra del vino, pellegrinaggio d’un Bacco barbarico verso la terra dell’ebrietà solare”. La recensione di Borgese coglie la dicotomia tra un’Italia classica e ordinaria, alla quale Barth era affettivamente e culturalmente legato, e “la nuova Italia, quale fra innumerevoli incertezze ed ansie si va formando”, raccontata dal cronista. La sua Guida spirituale delle osterie italiane va dunque letta con un occhio retrospettivo, nel tentativo di cogliere la portata innovativa della sua ricognizione enogastronomica, come sottolineato nella prefazione di Dino Mastrocola: “In definitiva l’enogastronomia è diventata uno “strumento” privilegiato; essa, infatti, racchiude e veicola tutti quei valori che il viaggiatore contemporaneo ricerca, ossia: rispetto della cultura e delle sue tradizioni, autenticità, sostenibilità, benessere psico-fisico ed esperienza e, forse, il Vate, in tempi non sospetti, l’aveva intuito”.
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