Quartett di Heiner Muller. Regia: Alessandro Marmorini. Con Cristina Golotta e Roberto Negri
Nel 1981 Heiner Muller strinse in un distruttivo duetto tra la Marchesa Isabelle de Merteuil e il Visconte Valmont Le relazioni pericolose di Choderlos de Laclos. Lei, all’inizio, lo possiede – in uno stato tra l’innamoramento ferino e la furia di un’Erinni – addormentato (o forse morto) e quando lui si risveglia comincia tra i due un aspro duello verbale, nel quale fanno a gara nel dare testimonianza di cinismo. La Merteuil non sopporta che lui voglia sedurre Madame Marie de Tourvel, fedele e timorata sposa ma chiude con lui un patto: potrà conquistare la de Tourvel se corromperà la virginale Cecile de Volanges, appena uscita di collegio e promessa sposa di un ex-amante della Marchesa (che potrà vendicarsi dell’abbandono). Ora i due protagonisti si cambiano d’abito e lei/Valmont circuisce lui/Tourvel, alternando dichiarazioni di pentimento per la propria dissolutezza a lubriche proposte sessuali. Nuovo cambio e i due vecchi amanti si preparano ad una nuova recita: lui/Valmont inizia alle gioie del sesso orale la giovinetta lei/Cecile. Il senso di morte che ha aleggiato per tutto il dramma trionferà alla fine su tutti i protagonisti.
Quartett è un testo essenziale per entrare nella poetica di Muller; lui è stato certamente un autore “politico” e non a caso è succeduto a Bertold Brecht nella direzione del Berliner Ensemble. A differenza dell’autore de L’opera da tre soldi, però, il suo teatro è pieno di rabbiosi dubbi e di riferimenti – ancorché “politicamente” rivisitati – alla classicità. Questo lo ha esposto a critiche, censure feroci e ostracismo da parte di Berlino Est e Quartett, a pochi anni dalla caduta del muro, può anche essere letto come l’annuncio della fine del fatiscente regime comunista (così come Le relazioni pericolose era apparso un presagio della prossima Rivoluzione Francese e della fine della corrotta aristocrazia). Il testo è molto coinvolgente (parafrasando la celebre definizione del cinema di Hitchcock, verrebbe da dire: “E’ Le relazioni pericolose senza le parti noiose”) ma presenta alcuni rischi: è molto letterario – non a caso, alcune delle migliori realizzazioni sono letture pubbliche (vedi quella di Blandine Masson con Jeanne Moreau e Sami Frey) o radiofoniche (Giuseppe Marini con Anna Maria Guarnieri e Carlo Cecchi) – ed ha precedenti illustri: non solo la riduzione/regia/interpretazione di Walter Malosti con Laura Marinoni nella messa in scena del Piccolo ma – per quanto riguarda Le relazioni pericolose – tre importanti edizioni cinematografiche: il furbo e patinato film di Vadim del ’59 con Gerard Philipe e Jeanne Moreau, la premiatissima messa in scena di Frears con Gelnn Close e John Malkovich e l’erotico Valmont di Milos Forman con Colin Firth e Annette Benning (per tacere della modernizzazione in Cruel intentions di Roger Kumble e dell’opera lirica di Serge van Vaggel).
Il pur giovane Marmorini affronta con vigore e rispetto il testo e – aiutato anche dalle scenografie di Chiti – ne restituisce la, per così dire, vitalità mortuaria e, soprattutto, pur senza rimaneggiamenti, ne fa un duetto che, dimentico della letterarietà d’origine, si snoda efficacissimo. Il merito maggiore, ovviamente, va ai due interpreti che danno alla Marchesa e a Valmont sfaccettature molteplici e ci raccontano, in parallelo, il piacere prorompente e, al contempo, lacerante di recitare. Roberto Negri e Cristina Golotta hanno due storie attoriali molto significative. Lui frequenta da sempre testi e registi di grande potenza: ha cominciato con Albertazzi e ha lavorato, tra gli altri, con Pugliese, Ronconi, Nanni e Nagy e, negli ultimi anni, si è messo particolarmente in luce con testi di Beckett, Miller e, soprattutto Sciascia che ha più volte portato sulla scena e dà a Valmont tutta la partecipata sapienza di una recitazione di bella scuola. La Golotta – che ha recitato con tutti i registi emergenti dell’ultima generazione, collaborando spesso con Melchionna (insieme hanno vinto vari premi con il loro Dignità autonome di prostituzione) ma ha anche una solida esperienza cinetelevisiva (di recente ha dato un gran prova nell’interessante horror di De Feo The nest), – infuoca la Merteuil con la lubrica fisicità e la sofferente consapevolezza di morte che la fa grande personaggio. Sulla scena i due – lei con il corpo parzialmente consunto dal vaiolo, lui con un pallore di morte – si rimpallano le ciniche e talora oscene ma dolorosissime e profonde battute dei due amanti in via di decomposizione ed è una festa seguirli e lasciarsi coinvolgere nella loro danza macabra.
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