Per comprendere appieno quali saranno nell’immediato futuro i probabili effetti sui ricavi delle banche dell’invio ai clienti delle rendicontazioni sui costi previste dalla MiFID II, sarebbe bene partire dalla comprensione sullo stato di sviluppo della consulenza a pagamento che nel nostro mercato ha fatto seguito all’introduzione della prima MiFID nel 2007.
Da allora numerosi player italiani – per citare solo alcuni: dalle reti di consulenti finanziari (Azimut, Banca Generali, Fideuram, FinecoBank, Mediolanum) alle private bank (Banca Profilo, Cordusio SIM, Intesa San Paolo Private Banking) alle banche commerciali (Credem, Intesa Sanpaolo, MPS, UBI Banca) – hanno realizzato, spesso sostenendo investimenti anche molto importanti, servizi di consulenza finanziaria base e a pagamento caratterizzati da contenuti di servizio per il cliente a sofisticazione crescente: dalla profilazione del cliente rispetto alla tolleranza a diversi livelli di rischio, alla definizione di portafogli di investimento consigliati e valutati adeguati rispetto al profilo di rischio del singolo cliente, per arrivare a modelli di reporting più ricchi ed evoluti, fino allo sviluppo di piattaforme digitali per consentire al cliente di agire e verificare lo stato in termini di rischio e rendimento del proprio portafoglio di investimenti.
In alcuni casi i servizi di consulenza a pagamento nel tempo si sono affermati nella gamma d’offerta delle banche e sono diventati delle fonti stabili e significative di ricavo.
Se visioniamo i bilanci delle banche e analizziamo il mix dei ricavi è evidente che quella che potremmo chiamare “la rivoluzione della consulenza a pagamento” c’è stata, ma probabilmente in termini meno rilevanti di quanto ci si potesse aspettare visti gli investimenti sostenuti.
Se esaminiamo l’incidenza dei ricavi da consulenza sul totale delle commissioni attive, tra le reti spiccano Fineco (9%), Fideuram (6%), Azimut (2%) e Banca Generali (2%).
Per quanto riguarda le banche private risultano in particolare evidenza: Banca Consulia (31%), Banca Profilo (12%), Banca Albertini (12%), Cordusio SIM (8%), Intesa Sanpaolo Private Banking (3%).
Per correttezza va detto che tali risultati sono ovviamente da contestualizzare al range dell’offerta e dei servizi delle citate organizzazioni finanziarie. Tuttavia, a ben guardare, è più corretto dire che, se è vero che lo sviluppo c’è stato, esso non è risultato così significativo come negli Stati Uniti o nel Regno Unito, dove pure va sottolineato che i consulenti sono obbligati per la legge RDR a farsi riconoscere dai clienti una fee di consulenza.
La tendenza delle istituzioni finanziarie nazionali sembra quella di aver utilizzato la consulenza a pagamento con prudenza, con una modalità attendista, come se si volesse sperimentare nel tempo tale proposta di valore e verificare nel tempo la risposta del mercato.
La prova di ciò è che in molti casi per ottenere dal cliente una remunerazione per la consulenza prestata dalla banca e dal banker si è optato per una fee “implicita”, non esplicitamente dichiarata, ma ricompresa nello schema di pricing dei prodotti contenitore o delle gestioni patrimoniali. Detto altrimenti, anziché offrire una consulenza basata su una specifica fee di advisory, si è preferito proporre ai clienti servizi di gestione patrimoniale o prodotti wrapper, nell’ambito dei quali il costo della consulenza è gestito con modalità similari a quelle utilizzate per le management fee dei singoli prodotti di investimento.
Tale analisi va presa come spunto per cogliere ulteriori opportunità di miglioramento. La strada della consulenza è quella giusta. L’asset management per le banche commerciali ha ancora ampi spazi di crescita e sviluppo. Esse possono compensare la perdita di ricavi sui servizi di gestione dei conti correnti e di incasso e pagamento attraverso la consulenza finanziaria a pagamento. È necessario però verificare se il modello di consulenza finanziaria attuale ad architettura spesso chiusa sia la strada migliore per realizzare tale sviluppo.
Certamente per quanto riguarda invece le banche reti di consulenti e le banche private la maggior parte di esse hanno già realizzato un percorso di significativa crescita dei ricavi da consulenza. Ma bisogna andare oltre. Per il futuro si può pensare di trovare ulteriori fonti di ricavo, ad esempio attraverso lo sviluppo dei prodotti di investimento alternativi che finanzino l’economia reale, o lo sviluppo dei servizi di wealth management (consulenza immobiliare, su passaggio generazionale, fiscale, etc) o ancora il lancio di una nuova generazione di servizi di negoziazione titoli e consulenza su raccolta amministrata.
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