32 anni fa entravo per la prima volta in fonderia con l’intenzione di rimanervi il tempo necessario per trovare un altro posto meno duro. Ci rimasi per 13 anni.
Non è stato il mio primissimo lavoro ma senza dubbio il primo importante e quel primo giorno lo ricordo come fosse oggi.
Mi portarono immediatamente in magazzino per la consegna di tutto l’abbigliamento (a quei tempi non era ignifugo, quello venne dopo).
Ricordo benissimo un tizio, tale Paolo detto “Paulon” grazie alle sue dimensioni corporee, che urlando in dialetto con il magazziniere, Elio, disse “oh, ades i’asum anch i cirul!” Il che vuol dire “adesso assumono anche i marmocchi”.
Se dovessi trovare dei termini per definire come mi sentivo direi a disagio, inadeguato, fuori contesto.
Ero giovanissimo, un “bimbo” ingenuo in una gigantesca fabbrica piena di brutali operaiacci… I quali sembrano così solo all’inizio poi sono come il papà che hai a casa o l’amico di famiglia che ti porta allo stadio.
A parte lo scioccante impatto iniziale (immaginate un ragazzino messo davanti a una pressa per fonderia piena di alluminio a 750 gradi, con un caldo tale da non poter respirare vicino alle macchine senza farsi uscire il sangue dal naso) fu il periodo senza dubbio più duro e formativo della mia vita.
Ho imparato da tutto e da tutti. Ho imparato come funziona una società dai rapporti di forza all’interno dell’azienda, dai colleghi, dai capi che si trovavano spesso schiacciati tra quello che avrebbero voluto fare e quello che dovevano fare.
Ho imparato dai colleghi facendomi un’idea di che persona sarei potuto diventare e quello che non volevo essere.
Ultimo ma non ultimo, nel 1992 in fonderia, ho conosciuto il mio amico e socio skande.
Sicuramente mi è andata bene perché per uscirne ho dovuto lavorare tanto (su me stesso in particolare), ho dovuto studiare tantissimo e sono stato anche fortunato. Anche se la fortuna è un dividendo del sudore. Più sudi, più diventi fortunato diceva Raymond Albert “Ray” Kroc McDonald’s
PS: quello nella foto sono io che facevo il mio numero davanti a una pressa, di notte, con una delle prime macchine fotografiche digitali a fine anni ’90.
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