E’ il quinto spettacolo della Lalli e, come gli altri, è un lungo monologo intelligente, cazzaro (per usare un suo termine) e profondo ad un tempo, disinvoltamente post-femminista che spazia dal desiderio di maternità frenato dal fanatismo delle SUM: quelle che inalberano un “Sono Una Madre” per troncare ogni discussione sui bambini (“Le depresse citano Alda Merini, le SUM Maria Montessori”) al difficile rapporto con i figli del compagno (“Due sue scopate con l’ex che ti girano per casa”), alla noia della routine di coppia (“Se ti dice: “Voglio invecchiare con te”, intende fare un vita da vecchi dal giorno dopo”), dopo la gioiosa scoperta dell’innamoramento (“Tutto ha un altro sapore, anche lo sperma”). Arrivano le frecciate alle altre comiche (“possibile che nel 2019, ci sia chi la chiama la Jolanda!?”), le considerazioni sul sessismo permanente nel linguaggio corrente (“Perché se una donna è in gamba, si dice che ha le palle, mentre se dici che un uomo ha le tette vuol dire che è un ciccione?”) e immancabili, le esplicite, allegre considerazioni sul sesso, in particolare con la sua storica tirata sullo squirting (“Ma adesso, ogni volta che fai l’amore devi cambiare la carta da parati?”). Non manca l’autoironica citazione delle “gattare da Facebook” o delle massime zen contenute nelle confezioni di tè, che hanno, tra le radical-chic, sostituito i bigliettini dei Baci Perugina.
Molti anni fa il grande capocomico dell’avanspettacolo Gennarino Vollaro, aveva preso in gestione lo storico cine-teatro Volturno e, da ammiratore di Fanfulla (grande comico romano che, negli anni’40, aveva visto la propria emergente carriera stroncata dalla voce, messa in giro ad arte, di essere un menagramo), mise su per lui – stanco, amareggiato e malfermo in salute – una rivista, dandogli il privilegio di non farla intervallare dal film. In uno sketch, nel quale parodiava “La Traviata”, lui, vestito come Violetta sul letto di morte, pronunciò un divertente battuta che chiamava in causa chiaramente la fellatio; il pubblico, abituato a scherzi grassocci ma non ad esplicite allusioni, rimase qualche secondo senza fiato. Lui, stanco, quasi annoiato, guardò in platea, dicendo: “E qui ce vo’ l’applauso!”. Il teatro fu sommerso da minuti e minuti di applausi e risate. Io ero lì e ricordo quel momento come una specie di entusiasmante iniziazione all’Arte della Commedia. Dopo di allora ho avvertito raramente sensazioni simili ma mi succede con Velia Lalli. Lei si vanta di essere stata, dieci anni fa, la prima stand-up comedian italiana ed ora è molto contenta di aver aperto la strada a ragazze che, come lei, si raccontano con ironica consapevolezza davanti ad un microfono, senza artifici. Sappiamo che, storicamente, la nostra comicità al femminile va dalle atrici brillanti, in genere bruttine o imbruttite dal trucco (quali Dina Galli, Pupella Maggio, Dolores Palumbo, Billa-Billa e la sua bravissima epigone Franca Valeri) alle attrici con, più o meno caricaturali, personaggi comici: la perfetta Mariangela Melato su tutte, sino alla super-esposta Luciana Littizzetto, la solidissima Paola Cortellesi, la regional-nazionale Teresa Mannino, la esasperata Geppi Cucciari, la multiforme Virginia Raffaele e molte altre anche brave ma tutte legate alla tradizione di sketch o monologhi poggianti sulla rassicurante pedana del politically correct. Lei no e, infatti, non assomiglia a nessuna di loro; le sua radici si possono cercare nella scene americane, guardando a Melissa McCarthy, Amy Schumer, Tina Fay, Kristen Wiig o all’australiana Rebel Wilson, molto diverse fra loro ma unite dalla capacità di raccontarsi con grande libertà di linguaggio e di contenuti. Come hanno fatto loro, ci aspettiamo di vederla agire all’interno di una storia più collettiva. Per ora, però, continuiamo a divertirci alle sue esilaranti considerazioni, non a caso accompagnate da franche e continue risate soprattutto femminili.
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