Articolo di Carro Giuseppe
Quante volte abbiamo deciso di schierarci con fervore, non per amor di idea, ma per il semplice bisogno di far parte di un qualcosa? Quante volte, abbiamo detto sì, senza aver udito la domanda che ci veniva posta?
E così, in un mondo che agisce rifiutando di pensare, un piccolo ma grande pezzo di storia, uno strascico di passato, è stato dimenticato, gettato nel dimenticatoio come un libro troppo complesso per essere letto, un libro che l’uomo “comune” non è in grado di capire e sentire: i moti di Stonewall.
Ai nostri giorni, gente da ogni dove si riunisce per manifestare contro le discriminazioni sulla comunità LGBT nei cosiddetti “gay pride“, tuttavia in pochi conoscono il dolore che si cela dietro a tali eventi, in pochi sanno chi ringraziare per quanto gli è concesso ad oggi, chi ha sofferto e lottato per una libertà e dei diritti che ad oggi sembrano scontati, chi con i denti stretti percorreva sentieri di cocci rotti, e a squarciagola gridava “NO”.
Fino agli anni sessanta, la vita per la comunità gay e transgender non fu affatto facile. In quegli anni, in particolar modo in America, oltre alle innumerevoli discriminazioni, vi era il reale pericolo delle retate della polizia, che con le accuse di “indecenza”, tra cui baciarsi, tenersi per mano, indossare abiti del sesso opposto o anche il semplice essersi trovati in locali gay al momento dell’irruzione, picchiavano a colpi di manganello, al limite della tortura, e arrestavano ogni notte decine e decine di persone, le carceri finirono con l’essere piene non di veri criminali ma di persone la cui unica colpa era di essere “diverse”, quel tipo di diverso che rende unici, che in molti hanno cercato di distruggere e che ancora minacciano di distruggere.
In tale contesto, di dolore, repressione e rabbia, bastava una scintilla per incendiare gli animi, e questa scintilla fu la retata dello Stonewall Inn, uno dei più famosi bar gay di New York. Qui, la notte del 27 giugno 1969, otto ufficiali fecero irruzione dando il via agli arresti, tuttavia la mischia si accese in mezzo alla folla, che presto riuscì a sopraffare la polizia. I dettagli su come ebbe inizio la rivolta variano. Secondo un resoconto, Sylvia Rivera, che divenne il simbolo della rivolta assieme ad altri attivisti quali Marsha P. Johnson, scagliò una bottiglia contro un agente, dopo essere stata pungolata con un manganello.
Un’altra versione dichiara che Stormé DeLarverie, una donna lesbica, trascinata verso un’auto di pattuglia, oppose resistenza, incoraggiando così la folla a reagire. Da lì la folla comincio a manifestare più e più volte, mostrando al mondo tutta la rabbia repressa per il modo in cui lo stato, le istituzioni e la polizia li avevano trattati fino a quel giorno. Nacquero inoltre numerose associazioni omofile, e quindi a favore della comunità gay e contro la violenza e le discriminazioni sulla stessa, quali il “Gay Liberation Front“, e organizzazioni simili in tutto il mondo. I moti, inoltre, garantirono l’unità necessaria e gettarono le basi per la nascita della comunità LGBT e diedero vita ai “Gay Pride“.
Da una rivoluzione è nato un movimento, da un movimento una comunità.
Grazie a Sylvia Rivera, grazie a Marsha p. Jonshon, grazie a Stormé DeLarverie, grazie a tutti coloro che ebbero il coraggio di marciare fianco a fianco.
Grazie, perché qualcosa è cambiato.
Grazie, perché se arriverà un giorno il tramonto delle discriminazioni, sarà per merito vostro.
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