Una fase di totale immobilità caratterizza la situazione politica attuale. Se si escludono le vicende riguardanti la prescrizione giudiziaria e la flebile attesa per l’eventuale autorizzazione a procedere contro Salvini, il Paese vive in uno stato di catalessi.
Nessuna iniziativa contraddistingue il governo Conte 2, in una situazione in cui il sistema economico continua a perdere colpi (ultima la caduta della produzione industriale, meno 2,7 a dicembre scorso, che si aggiunge al dato negativo del Pil per l’intero anno appena passato).
Si potrebbe argomentare che l’impasse è dovuta alla crisi latente interna alla maggioranza di governo, dove il Pd, dopo lo scampato pericolo o successo che dir si voglia in Emilia Romagna associato alla sconfitta in Calabria, ha rialzato la testa è immagina di poter dettare l’agenda dei prossimi mesi. Ma l’ambizione supera di gran lunga la possibilità concreta, influenzata com’è dall’implosione del movimento 5Stelle che tuttavia ha ancora la maggioranza relativa in entrambi i due rami del parlamento.
L’ossessione domina in casa 5Stelle, dove di crollo in crollo si preparano verosimilmente gli atti finali. Il declassamento di Di Maio da capo politico a semplice ministro degli esteri, dove a dire il vero vale meno del due di briscola, ha aperto una fase prossima alla disintegrazione. Quel che sarà dei gruppi parlamentari e dove finiranno per approdare i raggruppamenti che ne deriveranno ha un valore relativo, poiché in ogni caso finiranno per incrinare il quadro generale.
Qui, con gli stati generali dei 5Stelle, sta il vero nodo della situazione, e sarà decisivo per la durata stessa del governo, tanto se ci sarà rottura, quanto e maggiormente se i grillini riusciranno a mantenere un minimo di unità. Nel primo caso si dovrà valutare la collocazione parlamentare dei sottogruppi nascenti, nel secondo la rivitalizzazione dell’unità comporterà una ripresa di controllo sulla maggioranza.
Il problema dell’oggi politico non è costituito dalla posizione assunta da Italia Viva sulla questione della prescrizione. Quella è un storia di principio fondamentale che, comunque vada, vede Renzi uscirne come l’unico vero leader politico credibile e presentabile, avendo avuto il coraggio di alzare la bandiera per la difesa di un valore costituzionale e, più ancora, per salvaguardare la civiltà giuridica che è sulla strada di diventare una grande macchia nera della società italiana.
No! Il problema sarà del Pd e del suo segretario che immagina la possibilità di dar vita ad un grande raggruppamento con i vetero comunisti di Leu – ecco la vecchia “ditta” che ritorna – e frange dei populisti ex 5Stelle.
Zingaretti, se fosse preveggente e un poco illuminato, dovrebbe comprendere che quello sarebbe il bacio della morte per l’impresa da lui immaginata, la fine del riformismo a guida Pd e il riflusso in un’area confusa, impossibile da gestire, dove l’eredità comunista si sposerebbe con il populismo che è l’antitesi di sé stessa.
L’esimio segretario piddino, per questa via, pensa di gettare le basi per un nuovo bipartitismo, “destra-sinistra” e viceversa, non tenendo conto che già trent’anni fa quell’ipotesi si risolse nella vittoria del centro destra e nell’apoteosi di Berlusconi.
Berlusconi e i suoi governi erano democratici ed europeisti. Se l’alternativa, oggi, è l’accoppiata Salvini-Meloni, a quale santo potrà rivolgersi la “grande e plurale” composizione che si vuole realizzare a sinistra?
C’è un punto nella storia repubblicana italiana, dato dal fatto che l’unica consistente e duratura possibilità di governo passa per un’alleanza con il centro. Ciò significa che se manca un punto di raccordo centrale, riformista e liberale, al di là di uno scontro permanente e altalenante sinistra-destra o destra-sinistra, non si va da alcuna parte, né progressista né democratica.
A questo fine è decisiva una legge elettorale in senso proporzionale, con quale sbarramento si voglia, perché a sostegno di una legge maggioritaria manca in Italia la possibilità di un’alternanza tra forze, in ogni caso, democratiche, come avviene in paesi di democrazia avanzata, quali Stati Uniti e Regno Unito.
I propositi in campo, da un lato di Zingaretti e compagni, dall’altro di Salvini e Meloni, in apparenza diversi, sono in effetti convergenti e, qualora realizzati, destinati a produrre uno scontro permanente con esiti catastrofici.
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