Al San Carlo di Napoli la Madama Butterfly di Ferzan Ozpetek diretta da Gabriele Ferro. Valerio Cappelli sul Corriere della Sera: «“Io mi sento sfacciato, sia al cinema che nella lirica”. Ferzan Ozpetek ha una visione «strettamente» personale di Madama Butterfly, la sua terza regia d’opera […].
Alcuni concerti di oggi: Elisa è al Gran Teatro Morato di Brescia; Loredana Berté al Teatro Brancaccio di Roma; Claudio Baglioni al Palaverde di Villorba (Treviso); Roberto Vecchioni al Teatro delle Muse di Ancona; Davide Van De Sfroos al Teatro Sociale di Como; Manuel Agnelli al Teatro Colosseo di Torino; i BowLand sono al Teatro della Concordia di Venaria (Torino).
Kaiser! Il film di Louis Myle che racconta la storia di Carlos Henrique Raposo, detto Kaiser perché il suo fisico, poco brasiliano, ricordava quello di Franz Beckenbauer. Carlos riuscì nella miracolosa impresa di fingersi per vent’anni calciatore riuscendo, grazie al suo sorriso ingannevole e alla sua simpatia, a farsi assumere come professionista da diversi club pur non sapendo calciare un pallone. Giocò con il Botafogo, il Vasco de Gama, il Bangu, la Fluminense, l’América e altre squadre brasiliane ma riuscì anche a farsi trasferire in Messico, in America, in Argentina e in Francia. Il suo schema era molto semplice: passava le prime settimane a correre su e giù per il campo e poi, in cambio di qualche bella ragazza o di una bustarella, costringeva i suoi compagni a colpirlo per finire in infermeria: «Quando le cose sono diventate più difficili mi sono fatto amico un dentista che mi faceva finti certificati medici che attestavano che avevo problemi fisici. Tiravo avanti così». Nonostante non avesse alcun talento, quando gli scadeva un contratto i suoi compagni, stregati dal suo fascino, facevano a gara per raccomandarlo a un altro club. Kaiser, pur non essendo quasi mai sceso in campo (conta appena 34 presenze in 20 anni, pochissimi minuti di gioco), era diventato così famoso che fu trasferito in Europa al Gazeleg Ajaccio: «Lo stadio era piccolo ma pieno di tifosi. Pensavo che avrei dovuto solo fare qualche corsetta e salutarli, ma quando sono arrivato in campo ho visto che c’erano dei palloni e ho capito che avrei dovuto allenarmi sul serio. Sono diventato nervoso, avevo paura che dal mio primo allenamento avrebbero capito che non sapevo giocare. Così ho iniziato a raccogliere tutti i palloni e a lanciarli ai tifosi. Nel frattempo salutavo e mandavo baci. La folla era impazzita. Alla fine sul campo non c’erano più palloni». Così la squadra si limitò ad un semplice allenamento fisico, cosa con cui Kaiser non aveva problemi. Spiega Ricardo Rocha, ex difensore brasiliano del Real Madrid: «Gli unici problemi Carlos ce li aveva con la palla. Diceva di essere un attaccante, ma non ha mai fatto un gol né un assist. Diceva sempre di essere infortunato. Se la palla andava a sinistra lui andava a destra e viceversa. Non aveva talento ma era un tipo simpatico. Tutti gli volevano bene». Maurizio Crosetti su la Repubblica: «Fu tra i primi a girare con un enorme telefono cellulare, lì dentro parlava a nessuno simulando contatti con club europei: quell’arnese era un giocattolo, però non c’è niente di più vero del falso che sembra verissimo. Ma alla fine del film, Carlos (non l’attore, proprio lui) guarda fisso in macchina con gli occhi inondati di lacrime, e dice: “Ho avuto un’infanzia terribile, ho fatto tutto questo per scappare dalla miseria e soffro, soffro molto. Perciò ho vissuto le vite degli altri: per non pensare alla mia”. Chissà se è vero, chissà chi è vero»
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