Le cronache letterarie ci propongono un romanzo ma il lettore si trova di fronte un libro di storia, una piccola storia raccontata sfogliando vecchi giornali in modo da illustrare, come in un quadro, tutti i colori di un’epoca.
Stiamo parlando de “Gli onorevoli duellanti” di Giorgio Dell’Arti una storia di amori e duelli in forma di romanzo, la ricostruzione di un momento importante della vita nazionale attraverso le pagine del Corriere della Sera, dei resoconti parlamentari che nelle mani di Dell’Arti diventa materia viva ed emozionante.
Su tutto il mestiere del giornalista, le cronache di Guelfo Civinini come prove autentiche della verità storica attraverso cui Dell’Arti costruisce la sua narrazione con una scrittura brillante e addirittura divertente quando descrive i duelli. Un lavoro di ricerca che porta lo scrittore a ricostruire un caso particolare che scosse l’opinione pubblica del tempo, avendo al centro una giovane donna bella, affascinante e ricca amante di uomini potenti e sospettata per questo di essere una spia al servizio dello storico nemico austriaco.
Ma quella che potrebbe sembrare a prima vista una storiella noiosa di militari e deputati, di giornalisti e donnine della bella epoque si rivela, grazie al senso dell’humor di Giorgio Dell’Arti, una lettura interessante e una fonte di conoscenza di fatti realmente accaduti, senza la noiosità della storia con la s maiuscola. Un vero divertimento per il lettore seguire le vicende storiche narrate attraverso la cronaca dei duelli, accompagnando il giovane cronista Civinini, uno straordinario giornalista a cui ricorre sempre il famoso direttore del Corriere, Albertini per avere una cronaca veritiera ed emozionante di quello che succedeva intorno al palazzo di Montecitorio, storie d’amore e di spionaggio secondo le regole della più emozionante letteratura poliziesca.
La storia narrata è quella della relazione amorosa tra il generale Tancredi Saletta e Eleonora Füssli, giovane vedova dell’erede del colosso tedesco Siemens. Alla morte del generale si scopre che l’affascinante signora, animatrice nei salotti romani, intrattiene relazioni con importanti rappresentanti dell’esercito, come Luigi Fecia di Cossato, generale e senatore, e con il capo di stato maggiore dell’esercito il generale Pollio, successore di Saletta.
Siamo in un momento della nostra storia nazionale in cui la divisione e quindi la polemica e lo scontro tra le forze politiche passa tra quanti volevano un rapporto con austriaci e tedeschi e coloro che privilegiavano l’amicizia con i francesi. Non era quindi difficile che nascesse intorno alla vedova Siemens, per la sua avvenenza, l’ipotesi di una attività spionistica a favore degli austriaci che ovviamente finì prima sui giornali e poi in Parlamento.
Protagonista fu il repubblicano Eugenio Chiesa, contrario all’alleanza con Austria e Germania, oppositore dei militari e delle spese per sostenere l’esercito, che utilizzò il “caso Siemens” per attaccare i suoi avversari di sempre. Ne nacque uno scontro che ben presto si trasferì dall’aula di Montecitorio ai prati fuori le mura dove il nostro onorevole venne sfidato a duello per ben cinque volte. Il duello con la spada o la pistola è una pratica molto diffusa, sopravvissuta anche nel nostra paese fino al 1943, per risolvere questioni d’onore anche tra i parlamentari. Gli scontri verbali che avvenivano in Aula, spesso finivano sul terreno, poiché si trovava nelle parole dell’avversario un’offesa tale da richiedere un duello per poter essere lavata.
Ciò che colpisce il lettore è come la tribuna parlamentare, che doveva essere la sede per eccellenza della libertà di parola, al contrario diveniva il luogo in cui si poteva essere chiamati a rispondere in duello per quanto si affermava. Una giovane democrazia che non aveva ancora imparato a distinguere il dibattito politico dal litigio personale, le virtù e vizi pubblici da quelli privati, la critica dell’operato politico da quella del comportamento personale. La classe politica (e quella dirigente in generale) era una classe di galantuomini e tra galantuomini, o pretesi tali, da secoli le offese avevano sbocco nel duello: era una logica perversa e talora costava la vita, come accadde nel caso di Felice Cavallotti.
La vicenda narrata da Dell’Arti si svolge in questo contesto, in una atmosfera arroventata da mille sospetti, di collusioni, vere o soltanto supposte, con il tradizionale nemico austriaco e i suoi alleati.
Per chi voglia avere una idea più precisa di quel mondo, di quegli intrighi, di quei misteri, può leggersi i tanti libri scritti sul caso Pollio, il generale che non voleva la guerra contro l’Austria e che morì improvvisamente lasciando dietro di sé molti sospetti ancora oggi, a distanza di un secolo, non completamente chiariti. È l’altra faccia della belle epoque, trattata con graffiante ironia da Dell’Arti, quasi a sottolineare che proprio tanto bella non doveva essere: forse lo era solo per coloro che andavano in carrozza (con l’inconveniente di dover affrontare ogni tanto qualche duello).
Un libro godibile anche sotto questo profilo: tutto sommato la Roma dell’inizio del XXº secolo aveva anch’essa i suoi problemi e l’istituto parlamentare della giovane democrazia italiana conosce la sua crisi: la pratica del duello è la dimostrazione di quale fosse l’orizzonte culturale in cui si svolgeva il dibattito pubblico alla vigilia della guerra e alla presa del potere del movimento fascista.
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