Oggi che tutti si dicono liberali, cattolici, fascisti e comunisti, aprire un dibattito sul liberalismo non è un fuor d’opera.
Non è un’impresa semplice, ma si tratta di un tema che merita di essere approfondito: magari in due puntate successive.
Cominciamo ab ovo.
1) Se nessuno nega che dal punto di vista della storia più recente, gli istituti del liberalismo moderno sono stati elaborati in Inghilterra, la distinzione tra liberalismo anglosassone, “empiristico e pragmatico”, e liberalismo eurocontinentale, “idealistico e astratto” è tutt’altro che pacifica.
Essasi basa, in buona sostanza, su criteri esteriori di mera prevalenza. Soprattutto non è stata approfondita abbastanza per capire se in entrambi i casi possa considerarsi, sul piano di una logica molto rigorosa, veramente osservato il culto della libertà.
La conferma delle inevitabili ambiguità sul concetto di liberalismo è contenuta nel recente saggio di Michael Anton “After the flight 93. Election: The vote that saved America” (Ed. Encounters books).
Lo scrittore statunitense parla di identità “spirituale” (usando un termine già di per sé molto ambiguo) dell’Occidente, riferendosi, in modo testuale, a tre città: Gerusalemme, Atene, Roma e specificando, poi meglio, ebraismo, filosofia “classica” greco-romana, cristianesimo. In altre parole il trinomio che sarebbe alla base dell’identità “spirituale” liberale europea escluderebbe, tra le religioni mediorientali, tutte ugualmente monoteistiche, soltanto l’islamismo ed espungerebbe dalla filosofia greco-romana quella non classica, cioè, presocratica e soprattutto empiristica, atomistica e anche monistica, a tutto beneficio dell’idealismo platonico e aristotelico.
L’autore non spiega come l’ordine liberale, approdo agognato da ogni essere umano anelante alla libertà dell’individuo e della collettività in cui vive, possa starsene chiuso e protetto in un porto dove penetrino e irrompano le onde minacciose di due autoritarsmi religiosi (l’ebraismo e il cristianesimo) e di quello filosofico, altrettanto assolutistico di Platone e di Aristotele, veri despoti della cultura Accademica.
Poi, polemizzando con altri autori, Michael Anton cade in un’ulteriore profonda contraddizione (avvalorando la tesi proustiana della Babele) criticando il culto del multilateralismo americano, come estraneo all’identità spirituale del liberalismo statunitense, senza avvedersi che la teoria dell’esportazione della democrazia è, invece, l’interprete più fedele delle ansie di proselitismo delle due religioni mediorientali da lui ricordate (ebraismo e cristianesimo) come “pilastri” della sua “idea liberale”.
Lo scrittore americano mostra di ignorare quanto le due religioni, ebraica e cristiana, siano sempre state desiderose (addirittura in maniera spasmodica, soprattutto la seconda) di aumentare il numero dei fedeli per combattere e annientare i nemici di Dio e quanto la distruzione di quelli che non credevano in verba magistri, operata dai metodi della schola di Platone e di Aristotele, sia stata, nella vita dell’Accademia, dura e impietosa.
Con buona pace di Michael Anton, la “summa”, religiosa e filosofica del dispotismo e dell’irrazionale ed equivoco “spiritualismo” (approdato, con l’immigrazione dell’epoca nei luoghi liberi di Roma e della Magna Grecia) non può essere messa a base del liberalismo.
L’unica cornice possibile per l’affermazione di un’idea veramente liberale è quella che lo scrittore americano bandisce: quella dell’empirismo e del pragmatismo dei presocratici greci e romani, del monismo a-religioso o del paganesimo tollerante e aperto a ogni diverso credo.
Tenersi lontani da ogni idea di conversione degli infedeli o di sottomissione degli scholari ribelli ai verba magistri è essenziale per un vero cultore del liberalismo.
Certo. E’ un controsenso parlare di liberalismo in Paesi dove si giura ancora sulla Bibbia, dove si celebrano nelle Università paludati riti per affidare la scelta degli “eletti” a prove di accademica fedeltà al Maestro, dove un Puritanesimo falso e bigotto consente ancora di annientare, con l’aiuto di una stampa influenzata dal potere economico, leader politici colpevoli di avere fatto l’amore decenni e decenni prima, fuori dal sacramento matrimoniale con donne (oggi nonne felici). Forse il liberalismo non è ancora nato.
Ed è questa una ragione di più, per farlo nascere meglio, facendo affidamento solo sul raziocinio, sull’intelligenza, sulla logica, sul rispetto della libertà altrui che non sconfini nella prevaricazione e del riconoscimento di uguali diritti in ogni essere umano, sull’assenza di violenze o truffe.
I Romani della Repubblica, veri e unici ideatori di un liberalismo profondo e radicale avevano creato regole (ragionevolmente permissive o esemplarmente punitive) come neminem laedere, matrimonia libera esse antiquitus placuit, carpe diem, che solo veri liberali potevano ideare e sottoscrivere.
Fu il trionfo definitivo del cristianesimo a mettere una pietra tombale sul concetto di libertà.
Naturalmente, molta acqua è passata sotto i ponti da quei tempi lontani (e anche dagli anni dell’Inquisizione e da quelli, più recenti, dei patiboli del Papa-re) ma per un individuo veramente liberale, oggi, attribuire a una religione monoteistica la paternità dell’idea di libertà è una “bestemmia laica”.
2) I liberali Eurocontinentali non hanno mai voluto accettare, per una sorta di patriottico orgoglio, la lezione dei loro omonimi politici anglosassoni; hanno eletto a maestri del pensiero liberale i filosofi del malsano e falsamente salvifico idealismo tedesco (in Italia: Gentile e Croce).
Ciò non è stato privo di conseguenze per la loro azione politica.
Le forze liberali, in Italia e nella parte continentale dell’Europa, non hanno mai esercitato il loro diritto di muoversi senza i lacci e i lacciuoli dei partiti di massa, cristiani di varia denominazione (democristiani, cristiano-sociali, popolari) e socialcomunisti o socialdemocratici. E ciò, proprio a causa della deterministica dipendenza, quindi del tutto inconsapevole, dalla filosofia idealistica germanica.
Bastava leggere gli atti di tutte le forze politiche italiane per avvedersi che il pensiero libero prima o poi inciampava e trovava lo scoglio di una fede religiosa o ideologica.
L’Europa, ignorando in maniera pervicace e ostinata l’insegnamento di Niccolò Machiavelli, ha sempre confuso l’attività pratica necessaria alla conduzione della polis, con la morale e, peggio ancora, con la precettistica religiosa e con assiomi etici.
In buona sostanza, se oggi il mondo occidentale si è spaccato in due, ciò si deve al fatto che il liberalismo assunto a cifra di riconoscimento delle democrazie di tale parte di mondo è tutt’altro che unitario ed omogeneo, relativamente alla sua ispirazione filosofica di base.
In conseguenza di ciò, mentre il polo anglosassone segue la dottrina di Machiavelli circa la distinzione tra politica e morale, e l’altra, e cioè l’Europa continentale non riesce a sceverare l’una dall’altra, non liberandosi dalla soggezione ideologica all’ebraismo, al cristianesimo, al platonismo e all’idealismo tedesco, ideologie colme di postulati definiti “morali”.
In altre parole, mentre i Paesi Anglosassoni, sono indotti a ricercare soluzioni dirette a risolvere, senza falsi schermi, i problemi concreti delle loro rispettive comunità, gli altri popoli europei appaiono orientati, all’osservanza doverosa e acritica di astratti doveri etici, laici o religiosi. Ovviamente, il sospetto del fake sarebbe, per alcuni osservatori, più che naturale.
Non è un caso, quindi, che per molti politologi, soltanto nella parte anglosassone del mondo Occidentale il liberalismo puro appare destinato a persistere, ancora vivo e vitale.
I sistemi “liberal democratici” delle origini, caratterizzati da pragmatismo, utilitarismo, capacità di garantire una buona convivenza sociale ai cittadini nell’Europa continentale, avrebbero vita difficile, per l’assenza di forze politiche veramente orientate al massimo rispetto delle idee di libertà (da quelle di pensiero a quelle di iniziativa economica).
In Italia, pure escludendo fascisti e comunisti, “infrequentabili” per gli amanti della libertà, anche nelle sedi dei partiti non fanatizzati e sedicenti liberali s’incontrano individui condizionati da asserite verità non dimostrabili se non addirittura smentite dall’esperienza: cattolici, ebrei, cristiani protestanti, massoni.
Il liberalismo non è mai stato una dottrina astratta, non è nato da un’idea, non si è mai posto un ideale vago, chimerico da perseguire: è nato dal bisogno di risolvere i problemi concreti dell’esistenza umana, sia personale sia collettiva, nel voluto rispetto, il più rigoroso possibile, della libertà dell’individuo. Si è sempre basato sull’esperienza. Dovrebbe far leva esclusivamente sul pragmatismo e sul rispetto della libertà di tutti i consociati.
In tempi lontani, si è nutrito dell’empirismo greco-romano, del permissivismo religioso pagano; in tempi più recenti, dopo la sua chiara divulgazione dovuta alla penna di Lucrezio Caro (idest: alla “scoperta” del De rerum natura) ha messo le sue radici nell’ Inghilterra di Hume, di Berkeley, di Locke, di Hobbes, favorito dal calvinismo anglicano di cui Somerset Maugham, nel Velo dipinto (The painted veil), fa dire a un suo personaggio: “Se (Tizio) appartiene alla Chiesa d’Inghilterra vuol dire che non crede quasi a niente”.
Nell’Europa continentale, a partire dalle pretese radici giudaico-cristiane e dalle disconosciute origini greco-romane, il liberalismo non ha potuto vedere la luce; in altre parole, non è mai nato.
Tali condizioni ambientali non hanno potuto porre alcun ostacolo alla vocazione degli abitanti a “fare gregge”, a porsi sotto la guida di un Capo, sia esso teocratico, monarchico, oligarchico, tirannico o anche solo molto autoritario.
E’ stato questo l’effetto di duemila e più anni di pensiero addomesticato dalla fede o da una filosofia metafisica, che, come la prima, è stata altrettanto irrazionale, fantasiosa, immaginifica.
Gli Italiani della cosiddetta civiltà “giudaico-cristiana”, dopo il declino di quella (veramente tale) “greco-romana”, hanno smarrito il sentiero della logica, del raziocinio, della riflessione meditata: si muovono soltanto su impulsi emozionali, derivanti da credenze irrazionali oltre che sulla spinta (furbesca) verso il conformismo (comodo rifugio, che non crea problemi di scelte autonome); non possono neppure dolersi del fatto che non c’è peggior disgrazia che ricordarsi, nella sventura, di un passato glorioso. Quest’ultimo risale a troppo tempo addietro per fare da alternativa di confronto.
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