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Aspettando la Befana: crisi di governo o carbone nero?

Il Natale che sta per arrivare è avvolto da un’aria cupa e richiama alla memoria, sia pure con meno tensione e paura, quelli vissuti nel 1943-44 con il terrore delle armate hitleriane che occupavano gran parte dell’Italia. Allora come oggi, in gioco è la vita. 

Sebbene la gravità della pandemia non possa essere paragonata all’atrocità della guerra, c’è un conto che i mette spavento, il numero complessivo dei morti: 700 mila nel 1944, 700 mila nel 2020.

Nel periodo natalizio di quegli anni la stragrande maggioranza degli italiani, quelli che non si riconoscevano nella repubblica di Salò,  sperava nella liberazione con l’aiuto degli eserciti alleati e il sacrificio dei combattenti partigiani. In questi mesi si spera nell’arrivo di un vaccino divenuto imminente di ora in ora. Si aspetta la prossima primavera per festeggiare un’altra Liberazione.

Anche quest’anno c’è un clima di attesa per ridare fiato alla sanità pubblica, all’economia, all’occupazione, al risanamento della nuova povertà che si sta accumulando, al ristabilimento di garanzie sociali, alla scuola, alla ricerca scientifica,  in una parola semplice e onnicomprensiva alla ricostruzione dell’Italia.

Nel dopoguerra la ricostruzione fu favorita da una sostanziale unità politica, dalla volontà e dall’impegno di tutti gli italiani, quelli che erano rimasti in Patria e quelli che tornavano dal fronte e dalla prigionia, e dall’aiuto generoso del piano Marshall. 

Nel 2020, si annunciano i fondi messi a disposizione dell’Unione  Europea, 209 miliardi di euro tra sussidi e prestiti, più un intervento finanziario del Mes (Meccanismo salva stati) di 36 miliardi destinabili al settore della sanità.

Le risorse, oggi come allora, ci sono. Manca, invece quell‘unità di intenti  che nel dopoguerra promosse, sul piano politico, la ricostruzione, nonostante la visione diversa e  contrapposta che animava i partiti addirittura sull’assetto internazionale e la  sua proiezione interna. Si può tranquillamente affermare che prevalse una visione d’insieme e un progetto di ricostruzione, rimandando al dopo l’assetto politico istituzionale dello Stato. Seguì la repubblica, ma l’Italia entrò e rimase nel campo delle democrazie occidentali.

I problemi di schieramento politico internazionale (con gli USA o con l’URSS) sono stati risolti dalla storia. Attualmente l’Italia è preda a dispute domestiche, addirittura di cucina, il malessere attanaglia le forze di governo e non lascia immuni quelle dell’opposizione.

Ci sarà una crisi di governo e con quale esito? L’interrogativo non è né drammatico  né sconvolgente. In 74 anni di repubblica e di democrazia, crisi ce ne sono state tante, tutte risolte. l’Italia è ancora qui, libera di pensare, parlare, assai meno capace di agire. 

Dunque niente paura su questo fronte, lasciando la cura della pandemia ai  benemeriti medici, infermieri e tutto il personale sanitario, con l’avvertenza ai capi missione di fare meno chiacchiere e più attenzione a dove vanno a finire i soldi pubblici. Governo e Regioni anziché litigare emanino misure serie e le facciano rispettare.

Se il vaccino anti covid è sul punto di arrivare, il vaccino della gestione pubblica è pronto da molti anni, ma male somministrato. Suona sempre la stessa musica, la melodia della greppia, nella Prima Repubblica, come nella Seconda e in quella attuale dell’Antipolitica.

   Il pistolotto che precede ha questo senso, smettere di meravigliarsi per la salute  del governo, e guardare, invece, a quello che farà . Vale a dire, che farà con i fondi che arrivano dall’Europa e chi li gestirà?

La parola verifica di governo suona come una presa in giro agli italiani da parte di chi intende o finge di crederci, nei palazzi del potere, come attraverso alcuni  notiziari radiotelevisivi e organi di carta stampata. Per la verità, non tutti!

La disputa è molto semplice, c’è un progetto di come ricostruire  l’Italia e, di conseguenza, a quali scopi destinare le risorse disponibili?

Ricostruire il Paese è esattamente il contrario di provvidenze a pioggia per accontentare i mille clienti e i mille e uno procacciatori di affari.

Qualcuno, che sia l’ex governatore della Banca d’Italia e poi della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, o l’esponente più responsabile della Lega, Giancarlo Giorgetti, o l’ex ministro di Foza Italia, Renato Brunetta, lo vanno dicendo a chiare  lettere, ciascuno  nella propria visione e stile di linguaggio, che i piani del governo non vanno e la prospettiva è quella di un disastro economico e sociale, in barba ad un’eventuale crisi di governo.  

A Palazzo Chigi e vicinanze ritenevano di risolvere la verifica  colloquiando con  5Stelle, PD e Leu, isolando Italia Viva, pronti però ad accontentarla con qualche posto aggiunto a tavola. Per ora, non è finita e, fortunatamente, non è andata così.  

Dopo Berlusconi che aveva timidamente avanzato una condizionata apertura al governo, ritirando subito dopo la mano per la sua acclarata debolezza nelle file dell’opposizione di centro destra, solo uno politicamente disinibito come Renzi poteva buttare un aut aut (consistente nella sollecitazione a cambiare registro e centrare gli interventi su punti concreti e condivisibili) sul tavolo del governo e della maggioranza: caro presidente del consiglio Conte, che vuoi fare? “O cambi metodo, oppure vuol dire che siamo di troppo in questa maggioranza.”

Nell’agone politico italiano Renzi non è simpatico e meno ancora amato, è anzi vituperato avendo fatto saltare diversi banchi poi occupati da lui. Tuttavia, come si diceva un tempo pensando ai big della DC, al momento è l’unico cavallo di razza  che batte le piste della politica nazionale. Un anno fa, con la sua mossa, sgonfiò la prosopopea del leader della Lega, Matteo Salvini, buttandolo all’opposizione dopo che quello aveva fatto saltare l’allora  governo giallo-verde (Lega e 5Stelle) chiedendo i pieni poteri. Ora, sta replicando nei confronti del premier Conte e del governo giallo-rosso (5StellePd), a identica guida, contestandogli non tanto i troppi poteri attribuitosi con una sequela di Dpcm (decreti del presidente del consiglio),  utili contro la pandemia, ma quelli che vorrebbe assumere con la cabina di régia per gestire 209 miliardi di Euro con un piano di spesa nebuloso e approssimativo. 

A proposito! Dove sono finiti i mirabolanti annunci fatti l’estate scorsa durante la gloriosa kermesse di Villa Panphili? 

Essere  o apparire? (parafrasando Erich Fromm).

Nell’incontro di giovedì scorso, il presidente Conte ha sottolineato lo strappo operato da Italia Viva (staccatasi dal Pd) subito dopo la costituzione del governo attuale, beccandosi una sentita risposta “l’anomalia non siamo noi, ma è avere lo stesso premier in due governi opposti” (Tersa Bellanova).

Italia Viva ha dato a Conte quindici giorni di tempo per avere una risposta sui contenuti presentati nel documento, altrimenti -ha detto Renzi – il governo va a casa.

Fra 15 giorni arriva Capodanno, seguito dall’Epifania. Che porterà la Befana al governo e all’Italia? Avrà ricevuto la letterina del presidente Giuseppe Conte? Ma, intanto, al Nazareno, Zingaretti e compagni, come mai non scrivono anche loro, hanno smarrito carta e penna, oppure pregano per non perdere il  governo?

Crisi di governo o carbone nero?

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Gianfranco Salomone

Giornalista - Già Direttore Generale Ministero del Lavoro

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