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Bettino Craxi: dalla politica alla storia del socialismo

Di Bettino Craxi, Segretario politico del partito socialista italiano dal 1976 al 1993 e Presidente del Consiglio dei Ministri dal 1982 al 1987, si è detto di tutto ed il contrario di tutto, da grande corrotto e corruttore a uomo di stato da consegnare alla storia: la polemica politica in questi ultimi anni a partire dalla sua morte ad Hammamet ha prevalso largamente sulla ricostruzione storica della sua figura nel socialismo italiano ed europeo.

Si tratta di un dato di riferimento che ha grande importanza se si considera il rilievo che hanno avuto i socialisti italiani nella storia politica istituzionale del XX secolo e del rapporto a volte dialettico, altre volte di stretta collaborazione, con il partito comunista, l’altro grande punto di riferimento della lotta dei progressisti nell’Europa occidentale contro il fascismo ed il nazismo.

Quello tra socialisti e comunisti fu un rapporto segnato dalla condivisione o meno delle tesi sostenute da Karl Marx nel celebre manifesto del 1848 e della individuazione o meno nella rivoluzione dell’arma più potente per la conquista del potere politico.

Fu il motivo della scissione di Livorno (1921) che segnò la nascita in Italia del partito comunista; seguì un anno più tardi l’espulsione dal partito socialista di Treves e Turati, bollati come coloro che avevano favorito l’avvento al potere dei fascisti.

Treves e Turati costituirono il partito socialista unitario nel quale militerà anche Giacomo Matteotti.

Il patto di unità d’azione con i comunisti per la lotta contro il fascismo ed il nazismo secondo la linea tracciata dal VI congresso della terza internazionale comunista determinò un’alleanza tra i due partiti che i socialisti italiani confermeranno nel XXIV congresso del partito svoltosi a Firenze nel 1946, il primo dopo la fine della II guerra mondiale. Pietro Nenni, che veniva dal socialismo pre fascista e la cui esperienza politica prima in Italia e poi in Francia era strettamente legata alla lotta antifascista, divenne segretario del partito socialista in nome di una stretta unità d’azione con il PCI fino al punto di presentare liste uniche per la elezione dell’Assemblea Costituente.

Negli anni successivi, Nenni compirà il suo capolavoro politico traghettando il partito da quelle posizioni alla partecipazione con la DC, il PSDI ed il PRI nel 1964 all’alleanza di governo di centro sinistra, in chiave decisivamente dialettica rispetto al PCI che restò all’opposizione.

E’ ben comprensibile che all’inizio degli anni ’60 la linea politica e programmatica di un Partito Socialista uscito da esperienze ideologiche e programmatiche non univoche e che aveva via via accolto in se i liberal democratici del partito d’azione come Riccardo Lombardi e Francesco De Martino e quelli del movimento di unità proletaria di Lelio Basso fosse piuttosto vaga, con l’occhio rivolto più al passato che al futuro.

Craxi si schierò fin dall’inizio con la corrente autonomista di Nenni che dopo l’approdo nella maggioranza di centro sinistra tendeva a mantenere la distinzione dal partito comunista, ancora ancorato al vecchio schema marxista della lotta di classe.

Nel 1966 dopo l’unificazione con il  PSDI di Saragat, il PSI con il sostegno dei laburisti aderì all’Internazionale Socialista: fu una decisione estremamente importante perché rendeva i socialisti italiani protagonisti del socialismo europeo, accanto ai laburisti ed ai socialdemocratici tedeschi di Willy Brandt.

Non era una decisione scontata: Mitterrand in Francia preferì mantenere uno stretto rapporto con il partito comunista francese in base ad una diversa strategia politica (conquista del potere politico al di fuori di ogni alleanza con il partito della borghesia, anche su lui stesso aveva a suo stesso collaborato con il Generale De Gaulle che non era certamente un campione di riformismo).

Craxi divenne co-segretario provinciale di Milano nel Partito Socialista Unificato, deputato nel 1968, rappresentante del PSI nell’Internazionale Socialista a partire dal 1972, vice segretario del Partito per la corrente autonomista nel 1976, quando segretario politico fu eletto del comitato centrale del partito Francesco De Martino, decisamente schierato a favore dell’alleanza politica con il PCI quale alternativa alla DC. Le elezioni politiche dello stesso anno confermarono la DC come il partito di maggioranza relativa, mentre il PCI vide aumentare i consensi ed il PSI attestarsi sulle posizioni già conquistate senza quella alleanza in cui De Martino aveva sperato in nome dell’alternativa di sinistra.

Tutti questi elementi vanno tenuti ben presenti quando si esamina da vicino l’elezione di Craxi alla segreteria del partito. I retroscena della riunione del comitato centrale (frattura della corrente guidata da Francesco De Martino ed iniziativa di Enrico Manca, alleanza degli scissionisti prima con la sinistra di Signorile e Riccardo Lombardi e poi con Giacomo Mancini, quando si trattò di evitare che segretario del partito divenisse Antonio Giolitti, un intellettuale ex comunista, hanno in fondo poca rilevanza: possono essere utili per la descrizione dello scenario in cui quella elezione si svolge ma non ne indicano le motivazioni politiche più profonde).

Troppo semplice parlare di una vittoria della corrente autonomista che era invece decisamente minoritaria, puerile motivare la scelta di Craxi, come fecero alcuni esponenti di partito, con la necessità di eleggere alla segreteria un personaggio di poco conto, in attesa del congresso che avrebbero eletto il vero segretario.

Nel 1976 Craxi era già un personaggio di tutto rilievo: Presidente del gruppo parlamentare socialista della Camera dei deputati, con vaste conoscenze tra gli esponenti del socialismo europeo, decisamente schierato per un socialismo democratico e anticomunista. Per Craxi, come dimostrò in diverse occasioni la politica interna italiana andava vista in un contesto internazionale che vedeva ancora il mondo diviso nei due blocchi nati dall’accordo di Yalta tra le grandi potenze, con l’Italia solidamente inserita nella NATO.

Bettino Craxi

La Democrazia Cristiana era la garanzia per gli Stati Uniti (e lo fu anche il PSDI) della permanenza Italiana nella sua area d’influenza: nel PSI erano ancora presenti tentazioni filo comuniste che non offrivano nessuna affidabilità in questo senso.

Lo disse chiaramente il Presidente della Repubblica Saragat a Nixon nel 1969 durante la sua visita al Quirinale ed il Presidente Americano gli assicurò che il suo paese avrebbe seguito con attenzione l’evolversi della situazione politica italiana.

Craxi aveva ben presente tutto questo: i socialisti italiani se volevano accreditarsi come forza di governo alternativa alla DC non potevano non rendere più profondo il fossato che li divideva dal PCI, con il ritorno al vecchio partito socialista di Treves e Turati ed al socialismo democratico della tradizione politica italiana pre fascista, superando anche dal punto di vista ideologico e programmatico la tendenza dei fronti popolari del periodo precedente alla seconda guerra mondiale.

La elezione del segretario politico del 1976 fu il punto di arrivo di un complesso disegno politico, non nel frutto di maggioranze eterogenee, che Craxi dimostro presto di ritenere strumentali a quel disegno. “Il Vangelo Socialista” nel 1978, l’assunzione della vice segreteria della internazionale socialista due anni più tardi, l’assenso alle basi missilistiche in Sicilia, una attiva presenza della diatriba del conflitto arabo israeliano come garanzia di pace nel bacino del Mediterraneo, furono altrettante tappe in questo senso.

Può essere stata una linea politica più o meno condivisibile e le valutazioni a questo proposito sono più che legittime: ciò che sembra essere invece difficilmente discutibile è la netta cesura con il passato che Craxi operò nel socialismo italiano per condurlo da posizioni marxiste al riformismo, da partito retrovia a partito protagonista della storia d’Italia del XX secolo. Basterebbe a questo proposito ricordare la vicenda relativa al concordato con la chiesa cattolica, recepito nell’Art.7 della Costituzione repubblicana con il voto favorevole della DC e l’opposizione del partito socialista, preannunciata in uno storico discorso di Pietro Nenni che ricordava da vicino il vecchio anticlericalismo socialista tra il diciannovesimo ed il ventesimo secolo.

Craxi ritenne che anche a questo proposito andasse operato un deciso taglio con il passato: dopo un lungo negoziato con la chiesa cattolica fu sottoscritta nel 1984 una integrazione del concordato stipulato nel 1929, che abbandonava qualunque presupposto ideologico di matrice ottocentesca: anche questo fa parte della storia d’Italia, così come la fedeltà alla alleanza atlantica con la rinuncia al vecchio neutralismo socialista.

Craxi il socialismo nella storia d’Italia nella seconda metà del XX secolo: un tema su cui riflettere

Non fu solo l’accettazione del metodo democratico da parte del partito socialista ma anche il recepimento delle istanze liberal democratiche che erano state un tempo di Carlo e Nello Rosselli, allargando la prospettiva dei diritti sociali a quelli civili, in una prospettiva che guardava al futuro e non solo al passato. Con il suo disegno politico Craxi andava oltre il riformismo ottocentesco, che era alla base della socialdemocrazia, in Italia come in Germania, si ricollegava al Partito Socialista Unitario e a quelli che erano i suoi punti qualificanti interpretati alla luce delle nuove istanze in termini di diritti civili e di partecipazione provenienti da quella società in cui il capitalismo globalizzato muoveva i suoi primi passi. Berlinguer fu il primo segretario del PCI a rendersi conto della necessità di uno strappo del suo partito rispetto al marxismo leninismo: non ci riuscì perché quelle radici erano in quel momento troppo profonde nei comunisti italiani.

Chissà che non abbia ragione D’Alema quando dichiara, come ha fatto recentemente, che Craxi era un uomo di sinistra oltre che un uomo di Stato?

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Mario Pacelli

Mario Pacelli è stato docente di Diritto pubblico nell'Università di Roma La Sapienza, per lunghi anni funzionario della Camera dei deputati. Ha scritto numerosi studi di storia parlamentare, tra cui Le radici di Montecitorio (1984), Bella gente (1992), Interno Montecitorio (2000), Il colle più alto (2017). Ha collaborato con il «Corriere della Sera» e «Il Messaggero».

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