Basta con le commemorazioni e con le polemiche su latitante o perseguitato. Le ideologie del ‘900 sono pagine di storia. Il PSI è finito con la diaspora e la morte del suo leader. Il pensiero politico di Craxi è attuale e utile.
Era l’anno 1978. Bettino Craxi, eletto due anni prima alla segreteria del Partito Socialista, prese spunto dal pensiero di Eduard Bernstein (un socialdemocratico tedesco che aveva criticato il marxismo ritenendo che la vittoria del socialismo non passasse attraverso la rivoluzione, ma scaturisse da una crescita generale della ricchezza in cui l’auto determinazione dei singoli e delle masse, usando gli strumenti della democrazia, avrebbe determinato la nascita della nuova società) per dare un nuovo orizzonte alla strategia politica dei socialisti e creare un apparato teorico necessario a fondare una sinistra non subalterna al paradigma marxista, fortemente influenzata dalle istanze libertarie del pensiero di Proudhon, che detestava l’idea del partito guida e si affidava all’azione cosciente dei lavoratori come base per la nascita di una società in cui libertà economica e giustizia sociale, diritti liberali e diritti sociali sono tutt’uno e, come ricordato da Norberto Bobbio, il socialismo altro non è che la democrazia pienamente sviluppata per cui, conclude Craxi, “taluni grandi valori del liberalismo possono trovare solo nel socialismo il loro completamento e attuazione nella società di oggi”.
Non è solo l’accettazione del metodo democratico da parte del partito socialista ma anche il recepimento delle istanze liberal democratiche che erano state un tempo di Russel, di Cole, di Carlo e Nello Rosselli, allargando la prospettiva dei diritti sociali a quelli civili, in una prospettiva che guardava al futuro. Con il suo disegno politico Craxi andava non solo oltre il comunismo, ma superava anche il riformismo ottocentesco, che era alla base delle socialdemocrazie, per ricollegarsi alla storia del Partito Socialista Unitario e a quelli che erano i suoi punti qualificanti interpretati alla luce delle nuove istanze in termini di diritti civili e di partecipazione democratica.
La politica che Craxi guidò negli anni successivi alla scrittura di quel “Vangelo” si ispirava ai valori risorgimentali e alla cultura del socialismo della tradizione italiana. C’è la difesa dello stato sociale, l’affermazione della dignità della persona, l’affermazione degli interessi nazionali, l’anticipazione di gran parte dei temi e dei problemi dei giorni nostri, ad iniziare dalla grande migrazione dall’Africa. Ma soprattutto ci ha lasciato un patrimonio culturale e un progetto riformista per il Paese che sarà utile a ben governare quando sarà passata la sbornia dell’antipolitica e tornerà la fede negli uomini e nella forza delle idee.
La stagione di “mani pulite” pose fine a tutto questo. La caduta del muro di Berlino aveva segnato la fine del regime comunista e trascinato nel gorgo della crisi i partiti comunisti dei paesi europei ma soprattutto segnò la fine della politica di solidarietà occidentale degli Stati Uniti. Si aprì una nuova fase in cui le socialdemocrazie europee, che dettavano l’agenda politica nel vecchio continente, dovevano lasciare il passo alla nuova politica americana che significava soprattutto nuovi equilibri nel mercato europeo.
Nell’arco di poco tempo dalla Francia alla Germania, dalla Spagna alla Svezia i partiti socialdemocratici subirono sconfitte politiche e furono ridimensionati. Ancora una volta l’Italia, per l’importanza della sua posizione geopolitica, si trovò al centro degli interessi finanziari e politici di oltreoceano. L’obiettivo era innanzitutto quello di indebolire il sistema industriale con lo scioglimento dell’IRI, bloccare il progetto Enimont e realizzare la vendita dei “gioielli di famiglia”, dalla comunicazione alla siderurgia, strategici per governare lo sviluppo del Paese. Craxi era un ostacolo a tutto ciò, si oppose, ma fu lasciato solo. Democristiani e comunisti, privi di un progetto politico, pensarono di trarre profitto dalla sua eliminazione dalla scena politica, mentre gli imprenditori ne approfittarono per salvare se stessi e le proprie aziende, ma anche coloro che più avevano beneficiato del suo successo, lo abbandonarono al suo destino alla ricerca di una via per salvarsi, anziché – come sarebbe stato giusto – difendere le ragioni del leader del Partito e scendere in piazza per affrontare quel giustizialismo che ancora non si estingue.
Passerà ancora molto tempo prima che gli storici sostituiscano giudici e giornalisti, ma quel “vangelo” torna di attualità anche se non c’è più lo stalinismo, di Lenin resta la mummia nel museo della piazza rossa a Mosca, mentre lo stato sociale scricchiola sotto il peso della crisi economica, il capitalismo finanziario tende a sostituire il welfare con l’assistenzialismo, e su tutto sembra prevalere il populismo, come svuotamento sostanziale del sistema politico. Torna alla ribalta la tesi dei socialisti riformisti sulla necessità dell’intervento dello Stato nell’economia: la crisi Alitalia, quella dell’Ilva, i dissesti di alcune banche.
Per governare è necessaria una cultura politica e soprattutto un progetto per il Paese: per questo è utile rileggere quel “vangelo socialista” di molti anni fa.
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