“Maestro… è lecito che noi paghiamo il tributo a Cesare ?” e Gesù rispose: “Mostratemi un denaro: di chi è l’immagine e l’iscrizione?” Risposero: “Di Cesare”. Ed egli disse: “Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” (Luca 20,29-26).
Cadute le illusione Prometeiche e constatata la debolezza del genere umano, per superare l’angoscia e la disperazione di una caduta imprevista e di un dolore profondo, all’uomo non resta che affidarsi alla dimensione religiosa per trovare conforto, speranza e coraggio. E così nei tempi in cui la morte trionfa sulla vita affidarsi all’aiuto divino diventa una necessità suprema, LA NECESSITÀ. Sarà per questo, mi auguro, che la chiusura al pubblico non dei luoghi di spiritualità ma delle funzioni religiose è apparsa un attentato alla libertà di culto, una insopportabile mortificazione del sentimento religioso, da parte anche di laici più convinti e non, voglio sperare, una strumentalizzazione politica che sarebbe un’indecenza ancora più grave dell’esposizione del rosario nelle piazze per scopi elettorali.
Ma il Cristiano dei nostri giorni non è più quello delle realtà teocratiche e del dogmatismo medievale, il Cristiano, cioè, che annullava l’esperienza terrena nella visione di un aldilà celeste che arrivava dopo la morte. Il Cristiano, oggi, non può fuggire dai problemi del suo tempo, della società e la religione non può essere una fuga dalla storia ma accettazione, capacità di riconoscersi nel mondo, è partecipazione, è investimento di energie attive, è rinuncia positiva e costruttiva.
La religione ha un senso se è pervasiva della vita di ciascun Cristiano e giammai può essere solo ritualità o piagnisteo continuo sulla corruzione del mondo e la malvagità degli uomini, sull’indifferenza o sull’ipocrisia del potere politico.
La vita del Cristiano deve essere vissuta con gli altri, con le cose, con le vicende del mondo senza la presunzione di ritenersi detentrice di verità che non le competono. Un vero religioso, inoltre, è nella realtà di tutti i giorni che verifica la bontà e la fermezza della sua conversione e convinzione, è nel confronto con la storia del quotidiano che paga il suo conto dinanzi a Dio. Ed è proprio su queste basi che nasce la dialettica tra potere e fede.
È giusto accettare le disposizioni del DPCM pur non condividendo, ma in nome di un rispetto a Cesare e alla sua legge a cui tutti devono obbedire con pazienza e umiltà per un obiettivo comune o è giusto ribellarsi rivendicando le proprie priorità e i propri privilegi? È giusto per un religioso riconoscere il valore cristiano dell’obbedienza e della pazienza, secondo l’esempio di papa Francesco, o appellarsi al proprio magistero noncurante del momento peculiare in cui l’unità e il reciproco conforto per una battaglia comune diventano prioritarie? Non è forse vero che la preghiera sincera del cuore è sempre ascoltata da Dio anche se passa attraverso il filtro di una diretta RAI o di una web camera e non dipende dal luogo, dalle formule rituali di culto? È fuori dubbio che ognuna di queste interpretazioni suggerisce un diverso atteggiamento religioso, politico e sociale.
Ma se compito di un religioso e di un Cristiano è quello di proteggere, sostenere e aiutare il cammino nel mondo, questo compito non può essere extra storico ed avulso dalla concretezza del presente ma con rigore e superando ogni crisi, quello di collaborare per un fine unico: il benessere morale ma anche fisico del consorzio umano. Se l’Istituzione politica responsabilmente non può allontanarsi da questo obiettivo, anche l’Istituzione religiosa, a maggior ragione, non può allontanarsi da questa meta, nè alzare steccati e paletti. È proprio su questo fine comune che si effettua l’incontro e la convergenza tra Stato e Chiesa: lavorare insieme per il benessere fisico e spirituale dell’Umanità.
Fare una disputa puerile di confini non è conveniente se non ad una logica di caos e di scontro che può trovare facili strumentalizzazioni e magari offrire a Sgarbi l’opportunità di un eloquio che non mi sembra abbia mai avuti caratteri evangelici. Così come non è il caso di mettere in campo presupposti di fariseismo. Siamo tutti sulla stessa barca, ripete papa Francesco che prega affinché i politici possano operare nell’interesse di tutti, in primis degli Ultimi, chiedendo unità, collaborazione, pazienza e umiltà. In questi tempi drammatici quando ogni decisione è una scommessa difficile e precaria col virus, l’unica posizione che ci si aspetterebbe anche dai vescovi della CEI è quella di una chiara collaborazione per realizzare il progetto di una società in cui l’amore per l’uomo e per Dio abbia le migliori opportunità di manifestarsi piuttosto che aprire crepe per favorire inutili polemiche che papa Francesco con il suo magistero costantemente chiede di bandire.
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