National Geographic ha rintracciato i migranti del barcone che Massimo Sestini fotografò dall’elicottero nel 2014 vincendo poi, con quell’immagine, il World Press Photo.
Di quei disperati l’unico rimasto in Italia si chiama Ansumana, fuggito dal Gambia, adesso fa il mediatore culturale, sta dando la maturità all’Istituo Iside di Taranto, è stato ammesso con 27 crediti, ha imparato l’italiano da sé, si presenta avendo fatto due anni in uno. Nel primo scatto di Sestini la sua faccia non si vede perché stava schiacciato sotto gli altri, probabilmente in procinto di andarsene all’altro mondo.
«Ero pelle e ossa, non respiravo. Mi hanno portato su per prendere aria e ho visto l’elicottero. Ero piccolo, non sapevo niente, ho pensato: ci riportano in Libia, è il mio ultimo giorno e io muoio così». In un diario ha raccontato l’esodo verso la Libia attraverso Burkina Faso, il Niger, e il deserto. «Una notte, finalmente, trovammo un pozzo e bevemmo l’acqua senza poterla vedere. E quando si alzò la luce, ci rendemmo conto che era acqua putrida e che per la sete infernale ci era parsa buona» [Candida Morvillo, CdS].
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