I fatti hanno impresso una svolta alla situazione politica al di là dei tempi delle previsioni di una settimana fa. La crisi all’interno del M5Stelle e del Pd è precipitata in modo così drastico da apparire l’anticamera di un’implosione.
L’episodio più clamoroso è rappresentato dalle dimissioni di Nicola Zingaretti da segretario del PD. La notizia ha colto di sorpresa, ben al di là della turbolenza che da tempo agita il partito erede del Pci, del Pds e via discorrendo, quanto per la motivazione addotta dal segretario, testualmente, “mi vergogno che nel partito si parli solo di poltrone”.
Che un segretario si vergogni di ciò che accade nel suo partito apre la porta a due tragiche riflessioni.
Prima, come mai il glorioso e più forte partito della sinistra, giusto un secolo dopo la scissione di Livorno, sempre caratterizzato dal livore nei confronti del socialismo riformista nei decenni che arrivano fino ad oggi, si scopre all’improvviso essere un vaso di Pandora di correnti interne che si azzuffano per conquistare poltrone di potere.
Correnti che somigliano più alle vecchie divisioni dell’odiata DC, dove i gruppi si alternavano con scambio di colpi e prevalenza ora dell’uno ora dell’altro, ma mantenendo fino in fondo un’unità che derivava da una solida e vasta base sociale . Niente a che spartire con le correnti che animavano il Psi, finché esse sono esistite prima del Midas del 1976, quando di poltrone non si vedeva l’ombra e il confronto verteva sulle proposte programmatiche, sulla svolta da imprimere alla società italiana in tema di diritti civili, di diritti dei lavoratori, di riforma dei suoli (leggi lotta alla speculazione edilizia), di programmazione economica, di politica monetaria, e, solo dopo, di alleanze politiche, come quella che portò, negli anni ’70 del secolo scorso, alla stagione del centro sinistra, alle speranze che essa apriva e che furono vanificate congiuntamente dalla resistenza democristiana e dall’opposizione comunista.
Su questo piano, il buon Nicola, che allora era fanciullo, legga qualche atto parlamentare, qualche libro di storia, e – insieme ai suoi compagni di oggi -prenda qualche lezione, legga il profilo, tracciato da ultimo su La Verità da Marcello Veneziani, di un vecchio guru della sinistra, il filosofo prof Tronti, e capirà qualcosa del malessere che rischia di portare il Pd alla fine.
Seconda riflessione. Ma, in questi ultimi due tre anni, Zingaretti che ha fatto, ha guidato il partito o dormiva nella sede della regione Lazio, di cui è governatore? Dove stanno le sue grandi intuizioni politiche, dove gli slanci sociali, dove le proposte programmatiche? Zero assoluto. Passerà alla storia (vocabolo eccessivo) come il segretario dormiente. Non è stato capace di evitare due scissioni – prima Italia Viva di Renzi e poi Azione di Calenda, non si è sentita un sola parola diretta a ritrovare l’unità, anzi ha spinto perché quelle frange venissero allontanate, scagliandosi infine sulla presunta o reale compagine interna di ex renziani.
Scarso di iniziative proprie, come continua dimostrare con l’abbandono di una nave che affonda, dovrebbe interrogarsi sulla strategia (altro vocabolo ignoto) suggeritagli da personaggi incredibili e screditati del passato Pci, seguita da dicembre fino alla conclusione della crisi. Prima “Conte o morte” insieme ai 5Stelle, con un matrimonio morganatico, poi mai più con Renzi, neanche a dire la presenza in maggioranza di Berlusconi, e infine guai a nominare Lega e Salvini. Per finire, l’ accettazione a bocca storta del governo Draghi, la sopraffazione della componente femminile rimasta senza incarico a livello di ministro, concludendo in bellezza con il rilancio dell’intesa fine vita con il M5S. Un capolavoro degno di applauso. Più che un’anatra zoppa, un’anatra arrosto, sbeffeggiata da Beppe Grillo che si è appena candidato a Segretario del PD.
Gli amici grillini, dal canto loro, se la passano uguale o anche peggio. Parlamentari che non hanno accettato le conclusioni della crisi e votato contro il nuovo governo, cacciati come da statuto. Ma lo statuto non vale per tutti, è come la pelle dei santissimi, e lo stiri da una parte e dall’altra. I due mandati, per chi valgono e per chi no.
L’enfant prodige Di Battista ha scelto la porta e se ne è andato, aspettando tempi migliori. L’esimio Casaleggio e la sua piattaforma Rousseau sono sul piede di guerra e hanno lanciato un manifesto per andare contro vento, nel frattempo reclamo in soldi che il movimento non ha versato per il servizio ricevuto. E’ l’anticamera della separazione.
La speranza non muore, ed ecco l’idea di affidarsi a Giuseppe Conte, nel tentativo di rimettere a galla la barca.
Il professore forse accetterà, ma alle sue condizioni, che a ben capire consisterebbero nella fine di un movimento di avventura, dove uno contava per uno ed ha finito per contare niente. Nascerebbe un soggetto ibrido tra liberismo e populismo.
Così stando le cose, la strada può sembrare spianata, la direzione di marcia sarebbe quella di inglobare i reduci dei 5Stelle mettendoli insieme con quelli del PD.
Un’associazione di combattenti e reduci che potranno fregiarsi dei nastrini colorati delle gloriose campagne combattute. E perse.
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