Chi era davvero Licio Gelli? L’abile capo di una “macchina da guerra” come la P.2, in grado di condizionare interi Stati (Italia e non solo) o un uomo al servizio di poteri ancora più occulti e forti?
12 marzo 1981: Giuliano Turone, giudice istruttore presso il Tribunale di Milano, emette una comunicazione giudiziaria nei confronti di un gruppo di persone che hanno in vario modo collaborato con Michele Sindona durante il suo finto rapimento (2 agosto — 16 ottobre 1979).
Tra esse è anche Licio Gelli: il magistrato ordina anche che vengano perquisite le sue residenze ed i suoi uffici ad Arezzo, Frosinone e Roma, oltre che a Villa Wanda, a Castiglion Fibocchi, dove Gelli abita con la sua famiglia.
Ad indurre il magistrato a disporre la perquisizione presso l’abitazione di Gelli è stata una denuncia anonima: l’autore resterà sconosciuto tanto da indurre a ritenere (Fasanella — Pellegrino) che la denuncia fosse mirata non tanto ad aiutare la giustizia quanto a far venire alla luce i documenti che il nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Milano, incaricata della esecuzione delle perquisizioni, rinviene a Villa Wanda in una valigia e che sono tali da provocare un autentico terremoto nella vita politica italiana.
Tra i documenti sequestrati vi sono fascicoli relativi alla proprietà del Gruppo editoriale Rizzoli, al Banco Ambrosiano e alle sue difficoltà finanziarie, al pagamento di tangenti per l’acquisto di petrolio dall’Arabia Saudita, appunti riguardanti personaggi di primo piano dell’economia, gli elenchi degli iscritti alla loggia massonica coperta P.2 di cui Gelli è Gran maestro e documenti dei servizi segreti classificati “riservato” e “segreto”.
Altri documenti saranno successivamente rinvenuti a Montevideo, tra cui alcuni dossier dei servizi segreti di cui nel 1974, in seguito all’inchiesta sulle deviazioni del S.I.F.A.R., il Parlamento aveva disposto la distruzione: consegnati all’Italia, i documenti saranno in gran parte distrutti dai “servizi” militari in quanto non ritenuti pertinenti alle indagini.
Con il sequestro di Castiglion Fibocchi inizia una vicenda che, malgrado i più di 300 volumi finora pubblicati su di essa, una cinquantina di procedimenti penali e due inchieste parlamentari (quella sulla loggia massonica P.2 e quella successiva sul terrorismo e le stragi) presenta ancora numerosi punti oscuri, ad iniziare da alcuni riguardanti la personalità dello stesso Gelli.
Gli unici dati certi sono quelli sulla sua giovinezza: nato a Pistoia il 21 aprile 1919 in una modesta famiglia (il padre era proprietario di un piccolo mulino) frequentò l’istituto tecnico per ragionieri, ma non riuscì a completare gli studi in quanto venne espulso da tutte le scuole del regno d’Italia in seguito ad un diverbio piuttosto animato con il preside (un pugno, o forse un calcio di troppo).
Falsificando i documenti si arruolò come volontario nel 735° battaglione Camice nere e combattè in Spagna contro i repubblicani. Nell’estate 1939 tornò a Pistoia, venne assunto come fattorino al G.U.F., raccontò a puntate sul “Ferruccio”, settimanale della federazione provinciale dei fasci di combattimento, la sua avventura spagnola e successivamente ne ricavò un libro, “Fuoco”, che gli valse i complimenti di Mussolini.
Scoppiata la guerra, venne arruolato nel 127° reggimento fanteria ed inviato in Albania: fece domanda di passare nel corpo dei paracadutisti ma a Viterbo, durante una esercitazione di lancio, rimase ferito e venne congedato.
Rientrò a Pistoia e venne nominato segretario dei fasci di combattimento di Cattaro dove restò fino al 25 luglio 1943. Solo recentemente con un libro intervista (De Rosa, Licio Gelli) è venuta la conferma di quanto adombrato da tempo: in quel periodo Gelli aveva lo specifico incarico di riferire sui rapporti tra soldati italiani e soldati tedeschi ed aveva dei fondi riservati a disposizione, svolgendo obbiettivamente la funzione propria degli agenti del controspionaggio.
C’è stato anche chi (Piazzesi, La caverna dei sette ladri) ha sostenuto che in quel periodo Gelli collaborò con il gen. Roatta, capo delle truppe italiane in Jugoslavia, per trasferire in Italia il tesoro nazionale jugoslavo, solo in parte restituito alla fine della guerra: Gelli, nel suo libro “La verità”, ha smentito decisamente la sua partecipazione al fatto.
Rientrato a Pistoia, dopo l’armistizio, aderì alla squadra d’azione Ettore Muti, che aveva compiti di polizia politica. Inizia a questo punto un periodo quanto meno controverso della vita di Gelli. Un documento del 1944 del C.L.N. di Pistoia attesta la sua collaborazione con i partigiani della formazione comunista “Bruno Buozzi”.
Nel luglio 1944, in divisa da ufficiale tedesco, aveva fatto evadere partigiani rinchiusi dalle S.S. in una casa di cura adibita a prigione a Collegiate di Pistoia, avvisava i partigiani che stavano per essere arrestati e portava rifornimenti ai gruppi operanti in Val di Lima.
Secondo altre testimonianze, Gelli collaborava invece con i tedeschi, ai quali forniva notizie per i loro rastrellamenti. Una “informativa” dei “servizi segreti” militari del settembre 1950 acquisita dalla commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P.2 indica in Gelli “il più pericoloso informatore del comando tedesco” ma Gelli querelò il senatore D’Arezzo che in una intervista a “Il giorno” aveva fatto risalire a Gelli la responsabilità della deportazione di alcuni ebrei.
Secondo l’informativa, Gai era un agente del comunismo internazionale: nessuna prova veniva peraltro addotta in proposito né individuate le persone con le quali era in rapporto.
Una nota del S.I.D. del 1974, pure acquisita dalla Commissione d’inchiesta, lo indica come “attivissimo collaboratore dei tedeschi” e come autore di una delazione che condusse all’uccisione di tutti i componenti della legione “Ettore Muti”, alla quale egli stesso apparteneva, da parte di partigiani.
Dopo la Liberazione Gelli si recò in Sardegna, alla Maddalena, presso la sorella, dove gli venne notificato un mandato di cattura per collaborazionismo, emesso dalla Procura della Repubblica di Pistoia.
Arrestato, esibì i documenti del C.L.N. di Pistoia che menzionavano l’aiuto fornito ai partigiani e fornì i nomi di alcuni fascisti di Pistoia collaboratori dei tedeschi. ll processo a suo carico non fu mai celebrato perché sopravvenne l’amnistia.
Tornato libero a Pistoia, collaborò con il suocero che aveva una bancarella al mercato cittadino, fu condannato (1949) con la condizionale a 1.400 lire di multa per contrabbando ed evasione dell’I.V.A. (l’attuale I.G.E.) per divenire poi prima autista e poi segretario del deputato D.C. Romolo Diecidue.
Nell’ottobre 1949 aprì una società con un professore di Pistoia che fornì i capitali per una libreria in Corso Gramsci che non ebbe successo. Con il denaro della liquidazione nel 1952 divenne rappresentante della Remington Rand, che produceva macchine da scrivere, ma ancora senza successo: il 27 novembre 1953 venne processato presso la Corte d’Appello di Firenze per incauto acquisto ed assolto per sopravvenuta amnistia.
Nel 1956 venne assunto alla Permaflex, una ditta che produceva materassi a molle, ed incaricato delle relazioni pubbliche, incarico che prese ad assolvere con grande successo (secondo l’informativa S.I.S.M.I., l’allora “servizio” militare, nel 1974, riuscì a vendere 40.000 materassi alle Forze armate avvalendosi dell’amicizia con l’allora Ministro della Difesa Andreotti).
La svolta decisiva nella vita di Gelli avvenne nel 1963, quando fece domanda di essere ammesso alla Massoneria: venne assegnato alla Loggia Giandomenico Romagnosi di Roma.
Era ancora apprendista quando conobbe il Gran Maestro aggiunto Roberto Ascarelli che lo presentò al Gran Maestro Giordano Gamberini.
Il 28 novembre 1966 una lettera inviata dal Gran Maestro alla comunità massonica comunicò che Gelli, con il grado di Maestro, era stato assegnato alla loggia coperta P.2.
La loggia “Propaganda” era stata fondata nel 1877 dall’allora Gran Maestro Giuseppe Mazzoni per i massoni che desideravano la riservatezza: ad essa erano stati iscritti famosi uomini politici (Zanardelli), imprenditori (Luigi Orlando) e letterati (Carducci).
È controversa la ragione del numero due dopo la sigla (semplice numerazione delle logge del Grande oriente di Palazzo Giustiniani o necessità di distinguere la loggia di Roma da una omonima già esistente a Torino).
Il 15 giugno 1970 Gelli fece un ulteriore passo avanti nella gerarchia massonica: il Gran maestro Salvini lo delegò a gestire la P.2 con poteri di iniziazione degli iscritti che in poco tempo divennero 573, di cui 343 acquisiti da Gelli.
Non era finita: il 6 gennaio 1971 Salvini emanò una “bolla” di nuova fondazione della P.2, i cui iscritti sarebbero stati noti solo al Gran Maestro: Gelli divenne “Primo sorvegliante” (nella gerarchia massonica colui che sostituisce il Maestro a capo della loggia in caso di impedimento) e il 24 settembre Segretario organizzativo della nuova loggia.
Immediatamente si mise all’opera: introdusse nella organizzazione i cifrari, fondò una struttura di copertura (il Centro studi di Storia contemporanea, con sede prima in Via Cosenza e poi in Via Condotti a Roma), si preoccupò dei rapporti esterni con la nomina, dopo la riunione della direzione della loggia il 29 dicembre 1972 all’Hotel Baglioni di Firenze, di Nicola Falde colonnello dei carabinieri già operante nel S.I.D., ad addetto stampa.
Nella stessa occasione avvenne la scelta dell’agenzia di informazioni O.P. di Mino Pecorelli, iscritto alla loggia, quale agenzia di stampa: tutti gli iscritti furono invitati a far pervenire notizie anche riservate all’agenzia che, dopo opportuni controlli e con la massima discrezione sull’informatore, avrebbe provveduto alla loro pubblicazione.
Iniziò a questo punto l’attività frenetica di Gelli nella ricerca di sempre nuovi contatti, di nuovi iscritti, di nuove amicizie in Italia e all’estero, specie in Sud America.
Nel 1973 Giancarlo Valori presentò Gelli a Peron: fu l’inizio di uno stretto legame con il Presidente argentino con il suo potente ministro Lopez Regga.
Gelli fu accreditato presso il Ministero degli Esteri italiano quale consigliere economico dell’Ambasciata argentina a Roma. Altre amicizie ebbe con i maggiori esponenti del regime militare in Uruguay: a Montevideo ebbe un ufficio in cui depositò parte dei documenti più riservati della P.2, forse ritenendolo il luogo più sicuro.
Alla P.2 si iscrissero generali, uomini politici di primo piano, giornalisti famosi, dirigenti dei servizi segreti militari e civili, personalità dello spettacolo.
Nel 1973 aderì alla P.2 Umberto Ortolani, un finanziere con una fitta rete di interessi in America Latina e (secondo una memoria depositata presso la Commissione d’inchiesta) cittadino brasiliano. Ortolani era uomo di fiducia della finanza vaticana ed aveva vaste amicizie in ambiente ecclesiastica (Card. Lercaro): divenne un tramite quasi naturale tra massoneria e prelati al vertice delle gerarchie ecclesiastiche, tra i quali, stando ad alcuni documenti del S.I.D. pubblicati di O.P., nel 1975 erano molti gli iscritti ad una loggia “coperta”.
Nel 1973 Vito Miceli, a capo del S.I..D., anche lui iscritto alla P.2, presentò a Gelli Michele Sindona, massone iscritto alla loggia “coperta” Giustizia e Libertà, anche lui con molti interessi in Sud America, oltre che in quella del Nord e nelle isole Bahamas.
Fu Sindona a presentare a Gelli nel 1975 Roberto Calvi, Presidente del Banco Ambrosiano, finanziere legato strettamente all’Istituto per le opere di religione (IOR) ed a Mons. Marcinkus, che ne era a capo, anche lui con una fitta rete di interessi in America latina.
Anche Calvi il 23 agosto 1975 a Ginevra venne iniziato alla massoneria e iscritto alla loggia P.2: fu lui, nella seconda metà degli anni ’70 a prendere il posto di Sindona, in serie difficoltà finanziarie, quale banchiere di riferimento di Gelli.
Fu il momento di massima potenza della P.2., che non nascondeva ormai più le sue ambizioni politiche. È infatti dell’agosto 1975 lo “schema R” (dove “R” sta per “risanamento generale dei Paese”) che, a detta di Gelli, venne anche sottoposto al Presidente della Repubblica Leone.
Lo schema R prevedeva:
Seguiva un dettagliato elenco delle misure da adottare per modificare l’ordinamento ed introdurre un regime autoritario: copia del “memorandum” e del “Piano di rinascita” sarà trovato, insieme con il “Field Manual”, il manuale U.S.A. per la guerra non convenzionale, il 6 luglio 1982 nel doppio fondo di una valigia della figlia di Gelli, Maria Grazia, all’aeroporto di Fiumicino, un ritrovamento probabilmente “pilotato” dallo stesso Gelli per dare un segnale a chi avrebbe dovuto tradurre in pratica il contenuto dei documenti rinvenuti.
Come sottolineato dal sostituto procuratore Elisabetta Cesqui nella sua requisitoria del 31 gennaio 1991 (processo contro Gelli celebrato nel 1994 presso la Corte d’appello di Roma, II sez.) il “Piano” ed il “memorandum” sono “un lavoro a più mani, alcune delle quali non prive di competenza nel rispettivo campo e evidenziano una conoscenza e una analisi dei problemi istituzionali che non può assolutamente essere attribuita al solo Gelli o a qualche suo subalterno“.
L’affermazione introduce il primo nucleo di problemi a proposito della Loggia P.2, delle sue finalità e dei suoi (eventuali) referenti. Le poche certezze in proposito riguardano anzitutto l’omogeneità o meno della P.2 rispetto alla linea ufficiale della massoneria italiana.
Le prime notizie apparse sulla stampa (“Panorama”, 22 marzo 1973) a proposito di una circolare di Gelli in cui trasparivano le sue propensioni per il governo dei militari determinò allarme nell’organizzazione e mise in pericolo la stessa carica del Gran Maestro: Gelli tuttavia riuscì (22 marzo 1975) a far rieleggere Salvini che il 9 maggio successivo nominò Gelli maestro venerabile della P.2.
Tre giorni più tardi, con decreto del Gran Maestro, la loggia ebbe un nuovo statuto. Il Gran Maestro motiverà successivamente la sua decisione con la necessità di evitare una scissione pericolosa: la P.2 aveva ormai circa 2400 affiliati e Gelli sarebbe stato pronto a trasferire la loggia a Montecarlo.
Dopo l’uccisione (10 luglio 1976) del magistrato Vittorio Occorsio che indagava sui gruppi neofascisti e la criminalità comune specializzata nei sequestri di persona, le notizie su possibile coinvolgimento della P.2 indussero un esponente massonico, Francesco Siniscalchi, ad inviare al magistrato inquirente una denuncia delle attività eversive della loggia.
L’arresto a breve distanza di tempo di Gian Antonio Minghelli, segretario organizzativo della P.2, con l’accusa di riciclaggio di denaro proveniente dai sequestri di persona, portarono i Maestri venerabili della Sardegna a chiedere il 6 giugno 1976 il deferimento di Gelli al tribunale massonico.
L’11 luglio Luigi Sessa, “Ispettore” della P.2, chiese a Salvini di indagare sui rapporti della P.2 con l’eversione nera e la criminalità organizzata. Gelli rispose con un’intervista a “L’Espresso” del 18 luglio respingendo come prive di qualsiasi fondamento le accuse.
Il 27 luglio il Gran Maestro sospese a tempo indeterminato l’attività della Loggia: la conseguenza fu che essa venne di fatto sottratta al controllo dei vertici massonici. Al tempo stesso fu disposto che i massoni iscritti alla P.2 e precedentemente iscritti ad altre logge massoniche dovevano essere “restituiti” al Grande oriente per tornare nelle logge di provenienza o rimanere all’orecchio del Gran Maestro: il loro elenco (circa 400 nomi) consegnato da Salvini ai magistrati Pappalardo e Vigna di Firenze in relazione ad una inchiesta in corso fu reso noto il 10 luglio 1981 alla Camera dei deputati dal deputato Costantino Belluscio e pubblicato da alcuni quotidiani.
Gelli ebbe comminata una censura, seguita dalla grazia del Gran Maestro, mentre Siniscalchi ed il gruppo massonico di cui faceva parte fu espulso dalla organizzazione per “gravi accuse rivolte al Gran Maestro”.
Anche Salvini aveva però la sorte segnata: il 18 novembre 1978 fu eletto Gran Maestro il gen. Ennio Batelli, legato a Gelli (tra i documenti trovati nella perquisizione compiuta a Castiglion Fibocchi due provavano versamenti di denaro di Gelli a Batelli). Gelli potè disporre di tessere in bianco per i nuovi iscritti che venivano affiliati da lui senza più l’intervento del Gran Maestro.
Se dunque ostilità vi fu nei confronti di Gelli da parte della organizzazione massonica, certo è che Gelli riuscì facilmente a contenerla ed a vanificarne gli effetti avvalendosi della fittissima rete di rapporti che a lui facevano capo e delle notevoli somme di cui disponeva.
Sulla provenienza del denaro regna ancora oggi il mistero più fitto: l’unica certezza è che Gelli gestiva molti milioni di dollari tra il Sud America e la Svizzera. Presso l’Unione delle banche svizzere di Ginevra nel 1982 Gelli disponeva su un suo conto di circa 9 milioni di dollari provenienti da filiali estere del Banco Ambrosiano, oltre a 250 chilogrammi d’oro per un valore complessivo (1989) di circa 200 miliardi di lire (sul punto e sull’accordo segreto di Zurigo che nel 1989 ha reso possibile a Gelli riottenere la disponibilità di circa la metà della somma v. Lendini, Crack Ambrosiano, e la lettera di Gelli pubblicata nel volume).
È stata adombrata la possibilità che il denaro provenisse dalla C.I.A. per destabilizzare il sistema politico italiano (intervista Brenneke, ex agente C.I.A., al T.G.1 del 2 luglio 1990) e che comunque Gelli avesse un referente che metteva nei posti chiave delle Forze armate generali filoamericani (Cossiga, intervista a “Il’ giorno” del 24 agosto 1993) individuando il referente nel partito repubblicano americano e nei settori più conservatori di esso (Fasanella — Pellegrino, La guerra civile).
Nella relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P.2 si afferma che le relazioni internazionali di Gelli certamente esistevano ma che era impossibile per la Commissione identificarle: le indagini successive non sono andate oltre questa affermazione.
A favore dell’esistenza di rapporti internazionali di Gelli sta anche, secondo la testimonianza resa dalla sua ex segretaria Nara Lazzerini alla corte d’assise d’appello di Bologna il 21 ottobre 1984 la creazione nel 1976 di una “Super loggia” a Montecarlo: sui suoi iscritti non è però avuta finora nessuna notizia.
Chiunque fossero i suoi referenti italiani o stranieri (ammesso che, come sembra, ne avesse) è risultato con certezza da numerosi procedimenti penali che hanno toccato direttamente o indirettamente Gelli, che nella seconda metà degli anni ’70 il suo potere come rileva anche la relazione della commissione parlamentare d’inchiesta, sembrava non conoscere più alcun limite.
Spazzate via le ultime resistenze all’interno della massoneria con la scissione (1977) nel rito scozzese antico e accettato (uno dei tre riti che in Italia raccoglievano i vertici massonici) con la creazione del Capitolo Segreto del Rito, Gelli intervenne pesantemente nella vita politica e sociale del Paese.
È Gelli a mobilitare nel 1976 tutte le sue conoscenze per tentare la revoca della liquidazione coatta amministrativa della Banca privata finanziaria di Sindona e per evitare la sua estradizione dagli Stati Uniti: anche attraverso la presentazione alla corte distrettuale di New York il 13 dicembre di un “affidavit”, firmato da lui stesso e da alcuni iscritti alla P.2 (Carmelo Spagnuolo, Flavio Orlandi, Edgardo Sogno), in cui Sindona veniva indicato come vittima di una congiura comunista.
Fallito il tentativo, fu Gelli ad aiutare Sindona durante il suo falso rapimento, dal 2 agosto al 16 ottobre 1979: il 12 marzo 1981 i magistrati della Procura della Repubblica di Milano Giuliano Turone e Gherardo Colombo lo incrimineranno per questo motivo, configurando nei suoi riguardi il reato di estorsione, imputazione da cui sarà successivamente assolto.
Nel 1978, con l’aiuto di Calvi, che acquistò con Tassan Din, anche lui iscritto alla P.2, il gruppo editoriale Rizzoli, assunse di fatto il controllo de “Il Corriere della Sera” e tentò di realizzare quello del settanta per cento della stampa italiana con una analoga operazione riguardante “Il resto del Carlino”, “La nazione” e “Il Messaggero.
I giornalisti “fedeli” erano iscritti ad un gruppo separato, il 17°, della loggia, così da realizzare di fatto uno degli obbiettivi indicati nel “Piano di rinascita”.
ll 5 ottobre 1980 “Il Corriere della sera” pubblicò una intervista di Maurizio Costanzo (anche lui iscritto alla P.2) a Gelli in cui quest’ultimo si definiva il “burattinaio” della vita politica italiana.
Per un breve periodo fu pubblicato un giornale, “L’occhio”, diretto dallo stesso Costanzo, il cui logo era un occhio inserito in un triangolo, uno dei simboli massonici per eccellenza.
II Presidente del Consiglio (nel 1979′ — 80) Cossiga, secondo sue dichiarazioni alla Commissione parlamentare d’inchiesta, volle conoscere Geli proprio per l’influenza che aveva su “Il Corriere della sera” (ma Gelli, in una intervista a “La Repubblica” del 23 marzo 1991, dichiarò di aver conosciuto Cossiga tra il 1972 e il 1973).
Le vicende relative all’acquisizione della proprietà del Gruppo Rizzoli portarono all’apertura di una inchiesta della magistratura milanese nei confronti, tra gli altri, di Gelli, Tassan Din e Ortolani: il 1° giugno 1983 il giudice istruttore del Tribunale di Milano Pizzi spiccò un mandato di cattura nei confronti di Gelli.
Gelli si interessò attivamente anche del sequestro di Aldo Moro di cui fornì in una riunione con i suoi collaboratori particolari inediti (Atti Comm. pari. inchiesta, vol. 7°, n. 18, pag. 514); ogni mattina riceveva il “mattinale” de S.I.D. (testimonianza di Ortolani alla Corte d’assise di Roma, sez. 4 del 18 ottobre 1983), controllava la Guardia di Finanza attraverso il suo comandante, gen. Raffaele Giudice, iscritto alla P.2 e coinvolto in un contrabbando di petrolio libico, ed il suo successore, il gen. Orazio Giannini, pure iscritto alla P.2.
Secondo alcune dichiarazioni rese dalla Lazzarini ai sostituti procuratori di Palermo Scarpinato e Natoli il 4 settembre 1995, Gelli verso la fine degli anni ’70 si recava spesso in Sicilia dove aveva incontri con esponenti della mafia (risulterà che alcune logge massoniche siciliane, come la loggia Scontrino di Trapani, dissimulavano in realtà cosche mafiose). Nel 1995 però il Tribunale di Palmi lo assolse dal reato di associazione mafiosa.
Tra le accuse che gli vennero in seguito rivolte è anche quella di aver operato per depistare le indagini sulla strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 verso una matrice internazionale: nel novembre 1995 la sentenza della Corte di cassazione che confermò la condanna dei terroristi neri Giusva Fioravanti e Francesca Mambro all’ergastolo quali autori materiali dell’attentato, rese definitiva anche la condanna di Gelli e Francesco Pazienza, legato ai servizi segreti, a dieci anni di reclusione per il depistaggio.
Per lo stesso reato vennero condannati Pietro Musmeci (otto anni e cinque mesi di reclusione) e Giuseppe Belmonte (sette anni e undici mesi) entrambi ufficiali dei “servizi” ed entrambi iscritti alla loggia P.2.
La condanna dii Gelli restò tuttavia puramente formale in quanto il reato per il quale era stato processato non era compreso fra quelli per i quali la Svizzera aveva a suo tempo concessa la sua estradizione.
Nel 1979 fu ancora una volta Gelli ad intervenire nella stipula del contratto tra l’E.N.I. e la società Petromin per la importazione di petrolio dall’Arabia Saudita. Il contratto prevedeva anche un versamento da parte dell’E.N.I. al Banco Ambrosiano andino, controllato dal Banco Ambrosiano, di 50 milioni di dollari che avrebbero consentito a Calvi di far fronte almeno provvisoriamente alle gravi difficoltà in cui la sua banca si trovava.
Calvi a sua volta avrebbe reso il favore versando 3,5 milioni di dollari a Claudio Martelli, per conto di Craxi, sul conto “Protezione” aperto presso l’Unione delle banche svizzere.
Tutta la relativa documentazione sarà ritrovata durante la perquisizione del 1981 nella residenza di Gelli a Castiglion Fibocchi. Già alla fine del 1979 la notizia del pagamento di una tangente sulla fornitura del petrolio saudita era apparsa sui giornali: ne scaturì uno scandalo in conseguenza del quale il 5 dicembre l’Arabia saudita sospese l’esecuzione del contratto.
Due giorni dopo il governo sospese dall’incarico il Presidente dell’E.N.I. Mazzanti, pure iscritto alla P.2, che il 15 marzo successivo si dimise dall’incarico. È in questo clima che maturò la perquisizione a Castiglion Fibocchi, che segnò la fine delle fortune di Geli.
Due mesi dopo venne arrestato Calvi per illeciti valutari, reato per il quale verrà condannato dal Tribunale di Milano a 4 anni di carcere e a 15 miliardi di multa, oltre ad un miliardo e mezzo di spese processuali; gli fu però concessa la libertà provvisoria.
II suo nome apparve nell‘elenco degli iscritti alla loggia P.2, reso pubblico il 20 maggio 1981 dal Presidente del Consiglio Forlani dopo che in un primo momento si era rifiutato di farlo adducendo la motivazione di una possibile lesione dei diritti di libertà di associazione dei suoi iscritti.
II 22 maggio 1981 fu spiccato contro Gelli un nuovo mandato di cattura con l’imputazione, insieme al colonnello Viezzer, capo dell’ufficio D del S.I.D., di spionaggio e procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato, reati per i quali sarà processato nel 1994 dalla Corte d’Assise di Roma.
Gelli però era già da tempo all’estero e riuscì a sottrarsi ai mandati di cattura emanati nei suoi confronti in Italia: venne arrestato a Ginevra il 13 settembre 1982, dopo che la sua presenza era stata più volte segnalata in America Latina, mentre stava incassando a Ginevra 72 miliardi di lire, provenienti dalle filiali estere del Banco Ambrosiano.
Il giorno successivo l’Italia richiese la sua estradizione ma il 10 agosto 1983 Gelli fuggì dalla prigione di Charnp Dollon dove era rinchiuso in attesa del processo per l’ingresso clandestino in Svizzera.
ll 21 settembre 1987 si costituì alle autorità svizzere. Dopo una condanna a 16 mesi per l’evasione, fu estradato in Italia (17 febbraio 1988) per una serie di reati di carattere finanziario (con esclusione quindi dei reati politici e di quelli comuni): pertanto il 2 febbraio 1989 la Corte d’assise d’appello di Firenze annullò la condanna inflitta a Gelli in primo grado ad otto anni di reclusione per costituzione di banda armata in quanto finanziatore di un gruppo neofascista toscano.
L’11 aprile 1988 Gelli tornò libero: per motivi di salute gli vennero concessi gli arresti domiciliari. Il procedimento conseguente al sequestro di documenti a Castiglion Fibocchi dopo la sentenza della corte di Cassazione del 2 settembre 1981 che risolse a favore di quella di Roma un conflitto di competenze tra le procure di Roma e quella di Milano, si svolse nel 1994 presso la 11 sezione della Corte d’assise di Roma per numerosi reati, tutti riconducibili all’attività della loggia P.2.
Il 16 aprile 1994 la Corte assolse sedici imputati, tra cui Ortolani e Gelli, il gen. Giudice, già comandante generale della Guardia dì Finanza, il gen. Grassini, il gen. Maletti, il cap. La Bruna, il col. Musumeci, il col. Viezzer, tutti prestanti la loro opera presso il S.I..D., il prefetto Walter Pelosi, e il generale dei carabinieri Picchiotti.
Gelli, così come gli altri imputati per lo stesso reato, fu assolto dall’accusa di associazione a delinquere in quanto la Corte non riconobbe carattere di segretezza alla loggia P.2, in contrasto con quanto affermato nella decisione del 13 giugno 1981 dalla “Commissione dei saggi” (Sandulli, Levi Sandri, Crisafulli) nominata dal Governo per esprimere un parere sulla segretezza o meno della loggia.
La stessa Corte condannò però Gelli a otto anni di reclusione per diffamazione dei giudici milanesi Colombo e Viola (aveva confezionato falsi documenti che li riguardavano, fatti ritrovare nella valigia sequestrata alla figlia a Fiumicino), a sei anni di reclusione per essersi procurato notizie destinate a rimanere segrete nell’interesse dello Stato, come provavano le fotocopie dii documenti dei “servizi” trovati nella sua abitazione a Montevideo, e a tre anni di reclusione per millantato credito nei confronti dei magistrati che avevano processato Calvi.
La pena venne successivamente annullata dalla Corte d’assise di Appello di Roma (27 marzo 1996) e la Corte di Cassazione dichiarò (20 novembre 1996) inammissibile il ricorso della Avvocatura dello Stato. L’assoluzione di Gelli divenne pertanto definitiva.
La sentenza della Cassazione ora ricordata fu particolarmente importante per Gelli per la parte in cui escludeva la natura di associazione a delinquere della P.2, ciò che gli consentiva di presentarsi come una vittima della giustizia politica italiana, lui uomo mite e dedito agli studi.
Scrisse un libro di poesia e fu candidato al premio Nobel per la letteratura, con ben 59 “sponsor”, tra ì quali Madre Teresa di Calcutta (Premio Nobel per la pace nel 1979) e lo scrittore egiziano Magib Mahfuz (Premio Nobel per la letteratura nel 1988) (v. Corriere della sera, 17 febbraio 2006).
Precedentemente, accusato di essere il mandante dell’omicidio, avvenuto a Roma il 20 marzo 1979 del giornalista Mino Pecorelli, Gelli era stato assolto in istruttoria.
Pure assolto fu nel 2001 dalla Corte d’assise di Bologna dall’accusa di depistaggio delle indagini sulla strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 e da corresponsabilità nel fallimento della società Di Nepi. Allo stato di semplici voci restarono le accuse di complicità nella uccisione (1986) dell’uomo politico svedese Olaf Palme.
Unica condanna restò pertanto quella inflittagli dal Tribunale di Milano il 16 aprile 1992 per la bancarotta fraudolenta del Banco Ambrosiano.
Il 15 giugno 1999 la Cassazione annullò la condanna a 6 anni e 5 mesi di reclusione (ridotta in appello il 15 giugno 1999 a 5 anni e 9 mesi) per la tangente E.N.I. — Petromin, ritenendo il comportamento di Gelli in proposito già valutato dai giudici che lo avevano precedentemente condannato per la bancarotta del Banco Ambrosiano a 18 anni e 6 mesi di reclusione, ridotta in appello il 10 giugno 1996 a dodici anni e confermata dalla Corte di cassazione il 22 aprile 1998. Ancora una volta Gelli si rese irreperibile: nel settembre dello stesso anno fu però arrestato nelle vicinanze di Cannes ed estradato in Italia. Nel febbraio 1999 ottenne la sospensione della pena per motivi di salute.
La commissione parlamentare d’inchiesta sulla P.2, istituita con la legge 23 settembre 1981 ed avente gli stessi poteri dell’autorità giudiziaria, dopo 147 sedute in cui furono ascoltati 198 testimoni, presentò la sua relazione il 12 luglio 1984: la documentazione raccolta è stata pubblicata in 115 volumi.
La legge 25 gennaio 1982 n.17 vietò le associazioni segrete e stabilì lo scioglimento della loggia massonica P.2 e la sottoposizione a provvedimento disciplinare dei dipendenti pubblici, dei magistrati e dei dirigenti delle società a partecipazione statale che risultassero ad esser iscritti.
Ciò avvenne ne nei mesi successivi da parte delle amministrazioni di appartenenza e del Consiglio superiore della magistratura. Salvo che per i magistrati, fra cui vi furono alcune espulsioni dall’ordine giudiziario o riduzioni dell’autorità di servizio, la maggior parte delle decisioni fu dì assoluzione o di applicazione di lievi sanzioni (solitamente la censura).
Il 7 marzo 2001 la Procura di Palermo ha chiuso l’istruttoria nei confronti di Gelli, Stefano Delle Chiane, Totò Riina ed altri: l’accusa era di aver organizzato nel 1991 un complotto per la secessione della Sicilia.
I numerosi movimenti di denaro effettuati negli anni della P.2 hanno condotto alla condanna di Gelli (resa definitiva dalla Corte di Cassazione con sentenza del 12 maggio 2001) al pagamento di una multa di circa 14 miliardi di vecchie lire.
Nello stesso anno la Corte Europea per i diritti dell’uomo ha condannato a risarcire Gelli (22 milioni di vecchie lire) per la lunghezza (dal 1982 al 1996) dei procedimenti a suo carico.
Nel 2005 Licio Gelli ha donato il suo archivio, contenente più di centomila documenti, alcuni dei quali di grande interesse storico, all’archivio di Stato di Pistoia: da un primo esame sembra che contenga anche carte riferentisi alla P.2 ed alle sue vicende.
Resta ancora aperto il giudizio civile contro Gelli degli ex azionisti del Banco Ambrosiano, danneggiati dal dissesto del Banco, che continuano a chiedere il sequestro dei beni di Gelli in quanto avrebbe fruito di illeciti finanziamenti da parte del Banco, negando validità agli accordi di Ginevra del 1984 a proposito della spartizione dei beni (oro e denaro) sequestrati in Svizzera, che assegnò a Geli 60 miliardi di lire, oltre 165 kg. d’oro ed alla villa di Villefranche sur Mer, in Costa Azzurra.
A vantare crediti nei confronti di Gelli è anche lo Stato che nel febbraio 2006 ha ottenuto il pignoramento per un milione e mezzo di euro di Villa Wanda (dal nome della moglie) dove Gelli continuava a vivere a Castiglion Fibocchi: è l’unico superstite, insieme con l’ex capo del S.I.D., Maletti, emigrato in Sud Africa, delle vicende della P.2, del Banco Ambrosiano e delle banche di Michele Sindona.
Nessuno fino ad oggi è riuscito a risalire i mille rivoli di denaro scaturiti, quasi fonte inesauribile, da quelle banche, qualche migliaio di miliardi di vecchie lire in moneta attuale, che forse troppo semplicemente si è ritenuto essere finiti nelle tasche di Calvi e Sindona e dei loro amici, tra cui lo stesso Geli.
Più realistico, almeno a seguire il filo conduttore degli eredi Calvi (v. “Poteri forti”) sembra ritenere che molto denaro sia stato speso all’estero per finalità politiche, in Polonia come in alcuni paesi dell’America Latina dove più forte era la pressione dei movimenti rivoluzionari filo-comunisti.
Per correttezza occorre anche aggiungere che sia Sindona che Calvi fecero operazioni finanziarie che si dimostrarono errate e provocarono seri danni finanziari agli interessati (v. le speculazioni sui cambi di Bordoni, con le quali Sindona sperò di risollevare le sorti delle sue banche): ciò spiegherebbe almeno una parte del disavanzo.
Un dettagliato studio in proposito manca ancora e probabilmente lo resterà ancora per molto tempo anche per i risultati cui potrebbe giungere: una delle tesi sostenute con abbondante documentazione a sostegno è, ad esempio, che Calvi e Sindona riciclassero denaro “sporco” per conto della mafia (v. Calabrò, Le mani della mafia) ma non sono da escludere altre ipotesi (secondo una deposizione alla corte d’assise di Bologna da parte di un ex ufficiale del S.I.D., ad esempio, Gelli sarebbe stato un agente del C.I.S., il servizio segreto militare statunitense, con compiti legati all’attività anticomunista svolta dal “servizio”).
Ad un Gelli abile capo di una “macchina da guerra” come la P.2 in grado di condizionare con le sue amicizie le istituzioni sono restati pochi a crederlo, mentre più credibilità è andata acquisendo la figura di Gelli, già messa in rilievo dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P.2, quale organizzatore ed esecutore di direttive altrui. Il resto è (ancora) mistero ma non è certo che il futuro non riservi qualche sorpresa.
L’8 dicembre 2003 Geni è stato indiziato di reato per concorso nell’omicidio di Roberto Calvi: indagini successive alla morte del banchiere, avvenuta in circostanze rimaste ancora oscure a Londra il 18 giugno 1982, hanno portato a ritenere che si trattò non di un suicidio, come affermato a conclusione di una prima indagine giudiziaria inglese, ma di omicidio.
Le indagini, riaperte nel 2003 in Inghilterra e in Italia dalla Procura della Repubblica di Roma, hanno accertato alcune false testimonianze: Licio Gelli è stato chiamato in causa quale mandante dell’omicidio da quattro testimoni, tra cui tre cittadini inglesi.
Il 16 settembre 2004 il giudice dell’udienza preliminare hanno dichiarato però nulle le indagini svolte dal 1997 al 2003 per motivi procedurali. Il 18 aprile 2005 Giuseppe Calò, Flavio Carboni, Michaela Kleinzsig ed Ernesto Diotallevi, un pentito della “banda della Magliana” sono stati rinviati a giudizio dalla Procura di Roma, che sta conducendo una indagine — bis, per l’omicidio di Roberto Calvi: nel maggio 2005 la stessa Procura ha iniziato a riesaminare la posizione di Gelli in quanto possibile mandante dell’omicidio, al fine di evitare che Calvi fornisse particolari sulle operazioni finanziarie del Banco Ambrosiano.
Il 19 maggio 2005 anche l’indagine svolta dalla magistratura inglese si è conclusa nel senso dell’omicidio “da parte di due o più persone” del banchiere. Dal 2001 fino alla morte, avvenuta il 15 dicembre 2015, Licio Gelli è stato in detenzione domiciliare nella sua Villa Wanda di Arezzo, ubicata sulla collina di Santa Maria delle Grazie a ridosso del centro storico, dove sconta la pena di 12 anni per la bancarotta fraudolenta dell’Ambrosiano.
Bibliografia
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