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Chiudere il ciclo nucleare italiano

Sempre più accese le polemiche in Italia (ed a Viterbo in particolare) per l’individuazione dei siti idonei ad ospitare il deposito unico nazionale delle scorie radioattive.
In tutto questo mare agitato di rimostranze l’informazione, quella vera e obbiettiva sulla quale costruire un’opinione, sta soccombendo a favore di sfilate di bandiera e comunicati stampa di propaganda.

A cosa esattamente stiamo dicendo no? Se da un certo punto di vista il solo suono della parola “nucleare” fa rabbrividire, in particolare dopo l’incidente di Chernobyl del 1986, dall’altro il nucleare fa parte della nostra realtà sia in forma naturale che artificiale. Attualmente i materiali di scarto, cioè le scorie radioattive che dovranno essere interrate nel deposito unico nazionale sono temporaneamente custodite in vari siti dislocati per tutta la penisola, alcuni dei quali non così lontani dalle zone individuate per lo stoccaggio definitivo.

Il Deposito unico nazionale è necessario per permettere lo smaltimento dei rifiuti radioattivi prodotti nel nostro Paese attraverso un significativo incremento della sicurezza e ottimizzazione della gestione.
Il problema, se non affrontato oggi, ricadrebbe sulle generazioni future, con un impatto decisamente più importante.
In seguito alla realizzazione del nuovo impianto unico, secondo quanto dichiarato da Sogin, sarà possibile demolire i depositi temporanei in cui sono attualmente stoccati i rifiuti, chiudendo così il ciclo nucleare italiano.

E’ legittimo chiedersi come avverrà lo stoccaggio dei rifiuti all’interno del deposito e a che cosa serva? I rifiuti radioattivi, molti dei quali sono materiali di scarto derivanti da applicazione medica, esauriscono la loro radioattività nel tempo diventando materiali non più pericolosi per l’uomo e per l’ambiente. Il loro smaltimento si basa sul principio della raccolta e successivo isolamento dall’ambiente. L’isolamento, che segue a tutta una serie di analisi eseguite sul materiale e ad un trattamento preventivo, avviene tramite cementazione per la quale si utilizzano materiali tecnologicamente avanzati  e adeguati al tipo di rifiuto da isolare. Il tutto viene poi stoccato in un sito temporaneo di smaltimento fino a raggiungere una destinazione finale.

Il deposito definitivo di superficie, cioè il deposito unico nazionale nello specifico, sarebbe una struttura realizzata a livello del terreno o fino a pochi metri di profondità, che garantisca una sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività. Questa struttura è tipicamente composta da barriere ingegneristiche poste in serie e può sfruttare anche barriere naturali secondo la geologia del sito.
Le barriere ingegneristiche sono di norma realizzate con strutture in calcestruzzo armato e sono adatte ad ospitare i manufatti dei rifiuti radioattivi. Inoltre il sito verrebbe coperto da una sorta di collina artificiale in modo da armonizzarsi con il paesaggio.

In realtà quindi queste scorie radioattive di cui tanto ci si preoccupa cosa sono? Nel Deposito Nazionale saranno definitivamente smaltiti i rifiuti a molto bassa e bassa attività, ossia quelli che nell’arco di 300 anni raggiungeranno un livello di radioattività tale da non rappresentare più un rischio per l’uomo e per l’ambiente, inoltre saranno stoccati temporaneamente i rifiuti a media e alta attività in minima parte, ossia quelli che perdono la radioattività in migliaia di anni e che, per essere sistemati definitivamente, richiedono la disponibilità di un deposito geologico. Nello specifico i materiali da stoccare provengono dal pregresso esercizio e dallo smantellamento degli impianti nucleari e dalle attività nel campo sanitario, industriale e della ricerca. 

Se volgiamo lo sguardo ai Paesi Europei del resto è abbastanza chiaro che non esistano soluzioni alternative allo smaltimento in un deposito. Nel precedente articolo (Nuovo deposito nazionale delle scorie nucleari) abbiamo citato esempi virtuosi di depositi di stoccaggio uno dei quali, il più conosciuto, si trova in Francia nella regione della Champagne-Ardenne. Il centro di stoccaggio di Aube , aperto ormai nel lontano 1992, ha incontrato le stesse reticenze da parte della popolazione tanto che la questione della sua apertura è stata sotto posta ad un referendum che ha ottenuto l’80% dei voti contrari. Attraverso poi una campagna di informazione e trasparenza in poco tempo la situazione si è completamente ribaltata e il centro di stoccaggio è nato. Sono 12 mila le analisi che ogni anno vengono effettuate su aria, acqua, sottosuolo e prodotti agricoli per monitorare i livelli di radioattività. Il centro di stoccaggio è diventato in pochi anni un punto di riferimento per i Paesi orientali, che spesso si recano in Francia per visitarlo e apprenderne il know-how.

Incredibile a dirsi ma il sito ha anche avuto il merito di incrementare il turismo,  spesso infatti vengono organizzati grossi eventi proprio nell’area del deposito, oltre ad aver garantito un grosso apporto economico alle comunità che lo ospitano.

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Veronica Ruggiero

Giornalista, collaboratrice presso il Gruppo Corriere.

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