Forse non guasta del tutto pensare a intermezzi leggeri ‒ o addirittura giocosi ‒ in un periodo particolarmente triste come quello che si sta attraversando, certamente denso di considerazioni serie; ma l’eventuale disagio a dirne può essere mitigato dal sempre citato Huizinga, il quale avverte come anche il gioco è cosa seria e non c’è nulla di più serio di esso.
Per quanto riguarda “Il piacere dei sensi”, titolo di queste divagazioni, c’è da precisare che non si tratta di erotiche sensazioni, di corpi nudi, ma soltanto di significati, coperti o scoperti che siano, di significati effettivi o di larghe allusioni delle quali è capace il gioco di parole. Espresso più chiaramente, si vuole riferire di forme epidemiche della parola, di fenomeni di contaminazione verbale.
Anni addietro, in Germania, in un mese di dicembre, scoppiò una febbre pericolosissima, della quale si conosceva il virus ma non il rimedio, mettendo in difficoltà l’intero Paese: si parlò di scienziati ammattiti, di professori non più diligenti, di studenti che non sostenevano gli esami, di alunni svogliati, di bambini trascurati dai genitori, di coppie in crisi. Quesiti di ogni genere, in gran parte costituiti da cruciverba, presero a seminare il panico non appena la casa editrice di un dizionario cominciò a porre in palio cospicue somme di denaro per i solutori dei giochi proposti. Una specie di caccia al tesoro, di caccia alla Sfinge, dalla quale l’Edipo tedesco di turno trovò difficilmente scampo.
Gli effetti furono avvertiti anche negli uffici e nelle industrie, dove andarono in fumo un numero incredibile di ore di lavoro. Nacquero associazioni di “danneggiati dal cruciverba” con il motto: «Continuare a vivere anche dopo i cruciverba. Ma come?». Non ci fu altro da sperare che quella moderna Sfinge “strangolatrice” (l’etimologia dice proprio così), custode della novella pestilenza, trovasse l’Edipo giusto.
In Italia gli effetti di tali giochi non sono mai stati tanto gravi; a parte l’innegabile occasione di “distrazione” per impiegati poco impegnati, ai solutori di cruciverba non si è mai guardato con preoccupata attenzione.
Ebbe a preoccuparsene Guido Almansi, ma la sua era una preoccupazione “culturale” (eccessiva e provocatoria) e riguardava il presunto, immane danno causato al linguaggio dalle parole incrociate; gli capitò di dichiararlo nella prefazione alla traduzione italiana della Cantatrix Sopranica, una delirante “comunicazione scientifica” di Georges Perec (in Cantatrix sopranica L. et autres écrits scientifiques, Seuil, Paris, 1991) ricca di incredibili ed esilaranti acrobazie linguistiche. Almansi era un estimatore di Perec, lo considerava il più grande promotore dell’espansione linguistica di quegli ultimi decenni; ma proprio in quella occasione tenne a precisare che nella propria biblioteca mai avrebbero trovato posto i suoi due volumi di Les mots croisés: «L’idea che il più grande promotore dell’espansione linguistica dei tempi moderni, Georges Perec, abbia partecipato a un’opera reazionaria come le parole incrociate – scriveva Almansi – mi turba, mi fa perdere le coordinate culturali in cui cerco di inquadrare il suo multiforme talento […]. Le parole incrociate promuovono lo statu quo linguistico e culturale; da questo genere di lettura non si può imparare che quello che già si sa […]».
In verità, non si può certo sostenere che certe pubblicazioni facciano cultura, ma è pur avventato ritenerle responsabili di gravi guasti linguistici; a esse può forse anche ascriversi il merito «di aver contribuito alla diffusione della lingua italiana, dalle Alpi alla Sicilia», come capitò di sostenere a Mauro Giancaspro in un articolo apparso tempo addietro su di un quotidiano. Giancaspro, allora Direttore della Biblioteca Nazionale di Napoli, si riferiva più generalmente a “La Settimana Enigmistica”, una pregevolissima pubblicazione che nei suoi molti decenni di vita non era mutata quasi in nulla, mantenendosi sempre estranea a tutti gli avvenimenti esterni, se non per farne successivamente oggetto di definizioni per i suoi cruciverba.
Tra tanti meriti, però, la rivista deve farsi perdonare la confusione generata nel significato del termine ‘enigmistica’: il titolo utilizzato quasi novant’anni orsono (era il 1932) ha ingenerato un grosso equivoco e la qualità della pubblicazione, poi, e la sua elevatissima diffusione, hanno ancor più contribuito a consolidarlo. Per gli italiani la corrispondenza “enigmistica-parole incrociate” è del tutto univoca e l’enigma non rinvia più al suo vero e originario significato, quello di discorso ambiguo, di qualcosa che ha bisogno di un’interpretazione, di un testo dal significato nascosto. L’aggettivo ‘enigmistica’, usato allora impropriamente, prese a confondere il pubblico ignaro, il quale cominciò ad attribuirgli un significato distorto, ben lontano da quello tradizionale riferito all’arte degli enigmi, all’arte del parlar doppio, che affonda le sue origini nella tradizione di ogni paese. L’invenzione americana del cruciverba si appropriò così il termine ‘enigmistica’, senza giustificazione e senza che nulla potessero le sparute schiere di appassionati del vero enigma; qualcuno (un enigmista napoletano, l’avvocato Beniamino Foschini, principe del Foro) reagì come poté…, coniando l’anagramma:
PAROLE INCROCIATE? = CIELO, PER CARITÀ, NO!
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