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Continua la vendita dei gioielli famiglia

Non ho voglia di parlare o scrivere molto sulla vicenda TIM. So, però, che in queste ore si sta giocando un pezzo sostanziale del futuro del nostro paese e non posso, non riesco a non dire qualcosa. Un po’ come fu nel passaggio della privatizzazione di Telecom Italia più di un ventennio fa siamo di fronte ad un passaggio strutturale.

Allora la privatizzazione di un gioiello industriale e strategico fu giocata con l’illusione di poter “spogliare” dall’interno il valore dell’azienda e rendere quel gioiello industriale nella disponibilità di quello o quell’altro amico della politica e, forse, anche nel grande scambio del nostro ingresso nell’EURO.

Tutti, negli anni, entrarono nel grande circo della privatizzazione e non solo la politica: dagli Agnelli che pensarono di controllare l’azienda con percentuali risibili (senza metterci soldi per l’acquisto…) fino ai nuovi imprenditori o i Tronchetti Provera per arrivare alle grandi svendite spagnole o francesi, fatte tutte su tavoli “politici” per grandi partite di scambio con partecipazioni di “grandi gruppo italiani” che provarono a salvare loro stessi a danno della principale infrastruttura di comunicazione del paese.

I governi di centro-sinistra impostarono e realizzarono molte delle privatizzazioni e le forze di centro-destra li accusavano di non farle fino in fondo, di non lasciare tutto e definitivamente in mano al “mercato”.

Ho raccontato quegli anni in un libro, Il decennio digitale, per chi avesse voglia di conoscere come andarono le cose o rinfrescarsi la memoria di cosa dicevano e facevano le forze che oggi dicono di voler difendere gli interessi degli italiani…

E’, come diceva Tabucchi, che “non è un privilegio avere una buona memoria nel nostro paese…”. Troppe verginità si ricostruiscono nel giro di una notte senza alcun pudore e senza pagare dazio… tanto c’è sempre chi paga…

Proprio mentre si stanno ipotizzando decine di miliardi per la “Transizione digitale” si rischia di svendere ad un fondo di investimento americano la dorsale comunicativa del paese. Oggi sappiamo, molto più di ieri e molto più consapevolmente, quanto sia importante per l’economia e il grado di sovranità imprenditoriale e democratica, controllare la rete di connessione, il sistema nervoso di un paese.

Abbiamo speso miliardi e forse giustamente, per tenere in vita la connessione fisica del nostro paese con il resto del mondo intervenendo più volte a evitare la fine di Alitalia. Oggi dovremmo dire che il governo italiano, agendo su Cassa Depositi e Prestiti, dovrebbe far sentire il proprio interesse a mantenere italiana la rete di telecomunicazione e, anzi, a rilanciarne il ruolo internazionale.

La Francia ha deciso di essere leader dell’auto elettrica e la Germania nella costruzione dei propulsori del futuro. L’Italia deve scegliere l’economia digitale come nuovo centro della sua rinascita. Per fare questo non può mettere la sua infrastruttura di base in mano agli interessi di un fondo finanziario il cui unico interesse è la redditività immediata (che si genera sempre spezzettando e riducendo i posizionamenti strategici) o, talvolta, anche il condizionamento a interessi che non sono nazionali.

Il silenzio della politica di fronte ad un esito drammatico della vicenda TIM la dice lunga dell’asservimento e della incapacità a svolgere il ruolo per cui dovrebbe essere chiamata. Altro che proclami alla sovranità o bei discorsi sulla difesa delle condizioni del lavoro o della competitività delle aziende fatta sui temi della tassazione o delle regole dei tamponi! Questo è un tema per minacciare l’uscita da una maggioranza se il governo non interviene rapidamente a difesa del futuro del nostro paese!

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Sergio Bellucci

Sergio Bellucci, giornalista e scrittore, dirigente politico e manager, ha scritto numerosi editoriali, articoli e saggi sui temi della comunicazione e della società dell'informazione. Membro del Comitato d'Onore dell'Osservatorio Internazionale sull'Audiovisivo e la Multimedialità (OIAM) della Fondazione Roberto Rossellini per l'Audiovisivo. È stato dipendente del gruppo Fininvest dal 1978 e fino al 1993, durante tale periodo ha svolto anche attività sindacale nella CGIL come membro della Segreteria Nazionale della FILIS. Dal 1995 al 2006 è stato responsabile nazionale della Comunicazione per il Partito della Rifondazione Comunista. Dal febbraio del 2013 è direttore del quotidiano Terra e nel 2014 è diventato Presidente della Free Hardware Foundation Nel libro E-work. Lavoro, rete e innovazione analizza l'impatto delle nuove tecnologie digitali sulla vita umana con una particolare attenzione al mondo del lavoro. Secondo le sue analisi, l'avvento del digitale comporterebbe una "nuova organizzazione scientifica del lavoro", definita "taylorismo digitale", attraverso un impiego distorto della rete. Nelle tesi di E-work si prospetta la nascita del "lavoro implicito", il lavoro effettuato obbligatoriamente, senza nessuna retribuzione e attraverso strumentazione a carico del lavoratore, che le piattaforme digitali stanno espandendo nel loro ciclo produttivo. Insieme a Marcello Cini ha scritto “Lo spettro del capitale. Per una critica dell'economia della conoscenza” analisi del cambiamento epocale del capitalismo avvenuto negli ultimi venti anni: il passaggio da un'economia materiale ad un'economia immateriale, che produce un bene intangibile e non mercificabile: la conoscenza.

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