Avviso per i gentili lettori: le parti dell’articolo in corsivo non sono mie, sono citazioni di Pier Paolo Pasolini: Corriere della Sera del 18 ottobre 1975, due settimane prima del suo assassinio. Mi sono permesso di aggiungere alcune precisazioni tra parentesi.
Di regola sono una persona ottimista, vedo le cose in modo da operare e lavorare per superare i problemi che mi si pongono davanti. Devo però, in questi giorni, imparare a misurare la parole. Per esempio usare l’aggettivo “ottimista” va bene, ma se usassi la locuzione “sono positivo” oggi sarei considerato un appestato, sarei additato come “settentrionale”: versione offensiva di “terrone ai tempi del coronavirus”, e immediatamente trasferito sotto scorta allo Spallanzani. Credetemi non avrei nessuna paura ad essere ricoverato per controlli in una delle nostre strutture sanitarie, la vera paura sarebbe quella di essere portato d’ufficio in uno dei talk show colpiti dal virus che ha scatenato in Italia la solita offensiva ondata di stupidità giornalistica.
La televisione offre in questi giorni il peggiore spaccato di un paese fragile, in preda al sentito dire, lontano dalle decisioni e dai suggerimenti della scienza di cui non ha mai compreso le motivazioni ed il metodo e nemmeno tentato di fidarsi. Un parlarsi addosso, una insalata russa che mette insieme giornalisti, persone comuni, cuochi, cantanti, ballerine e virologi di fama internazionale a discutere di una cosa di cui solo la scienza avrebbe ragione di parlare. Invece ci troviamo di fronte ad una subdola struttura che costruisce mediocrità distribuendo panico. Si usano gli stessi algoritmi (forse senza nemmeno saperlo) che critichiamo quando governano Facebook o Google: esperti e non esperti sullo stesso piano perché la scuola non conta, l’esperienza nemmeno, si è esperti se si è famosi e riconoscibili dal pubblico o se ci si definisce tali e non se si è lavorato nel settore, uno vale uno e tanto basta. Lo consideriamo il grande pericolo dei social network rispetto al mondo giovanile, ma in questi giorni ne abbiamo avuto un esempio concreto praticamente a reti unificate: il metodo dipende dal mezzo e non da chi lo governa.
Quello che prima di tutto emerge è la mancanza di una coscienza informata di tutto questo, e la sopravvivenza di una retorica progressista che non ha più nulla a che fare con la realtà. Bisogna oggi essere progressisti in un altro mondo; inventare una nuova maniera di essere liberi, soprattutto nel giudicare, appunto, che ha scelto la fine della pietà.
(Poiché le parole sono importanti, fatemi dire che il sostantivo “pietà” è usato con il significato originario. Per noi significa compassione, misericordia, in latino era uno dei massimi valori che la società doveva esprimere: devozione e rispetto nei confronti dei padri, dei maestri degli dei, aveva il significato di capacità di compiere il proprio dovere. In questo senso la televisione sarebbe la fine della pietà.)
L’esperienza diretta m’insegna che questo è un fenomeno totalmente italiano. Fa parte del conformismo, peraltro antiquato, dell’informazione italiana fingendo di rassicurare a parole si mostrano immagini di paesi deserti (che giustamente lo sono per precauzione), inducendo l’idea che tutto potrà diventare militarizzato e deserto a seguito di un nemico misterioso e marziano. L’uso delle immagini, per altro sempre le stesse e sempre stereotipi devastanti, mette la televisione in condizione di essere pervasiva dei comportamenti delle persone più deboli e meno informate dato che si tratta non di un insegnamento, ma di un “esempio”: i “modelli” cioè, attraverso la televisione, non vengono parlati, ma rappresentati. E se i modelli son quelli, come si può pretendere che la gioventù più esposta e indifesa non sia impaurita e spinta fuori da una conoscenza scientifica del problema?
Mi sono chiesto se anche all’estero esista questo problema. Esso esiste, è vero: ma si pone in un mondo dove le istituzioni borghesi restano solide ed efficienti, e continuano a offrire dunque una contropartita.
Ho provato a collegarmi con le televisioni degli altri paesi europei che, al di fuori dei telegiornali, nei quali per altro il virus è una delle notizie, non fanno maratone illusionistiche. E’ stata la televisione che ha, praticamente (essa non è che un mezzo), concluso l’era della pietà, e iniziato l’era dell’edonè.
(Hedonè nella mitologia Greca è una divinità di grande bellezza e in questo caso è usato per identificare il bene morale con il proprio piacere come fine ultimo del genere umano. Abbiamo già scritto su queste pagine del pericolo che l’intrattenimento, attività lecita per evadere dalle propri fatiche diventi un fine di vita.)
Il corsivo vi dicevamo è tratto da un articolo di Pier Paolo Pasolini: aboliamo la TV. Non vogliamo essere drastici, ma in questi giorni, se volete evitare il contagio, almeno spegnetela.
Da questa mattina è polemica tra il Presidente del Consiglio, che finalmente si accorge della necessità di un commissariamento delle Regioni in tema sanitario per una gestione nazionale e unitaria del problema, e la Regione Lombardia che per bocca dell’assessore Gallera risponde: “Una dichiarazione inaccettabile da una persona ignorante, perché ignora assolutamente quali erano e sono i protocolli definiti dall’Istituto superiore di sanità. Ormai sta emergendo la totale incapacità del governo di gestire qualcosa che loro dovevano prevedere”.
Virus o von virus siamo entrati d’ufficio nella attività italica a più alto grado di specializzazione: la guerra civile.
Mettetevi nei panni di un tour operator Francese o Tedesco che debba organizzare qualcosa in Italia ai tempi del coronavirus, pur avendo la massima fiducia nelle autorità scientifiche ha tutte le ragioni del mondo ad essere spaventato da una rissa all’ultimo voto esattamente come noi siamo spaventati da una informazione all’ultimo punto di audience.
Proviamo a riavvolgere il nastro e tornare a un mese e mezzo fa. Esplode l’epidemia in Cina. Organizzazione Mondiale della Sanità emana le linee guida: contenere in quarantena chiunque arrivi dalla Cina. Lo fanno tutti i paesi Europei tranne l’Italia che con roboanti annunci amplificati dalla stessa televisione di cui al punto precedente annuncia: Abbiamo chiuso i voli con la Cina. Il popolo esulta, gli scienziati un po’ meno perché sanno bene che l’isolamento è l’unico modo di contenere il contagio e capiscono che i cinesi che volessero arrivare in Italia lo farebbero lo stesso attraverso scali internazionali e senza quarantena. Hanno circolato indisturbati per oltre un mese e oggi ci si scervella (la televisione da il peggio di se in questa attività) a cercare il paziente zero che in queste condizioni statistiche non si troverà mai. Allora c’è da chiedersi cosa distingue il nostro paese dagli altri? Una sola cosa: gli altri hanno attuato quello che gli esperti avevano suggerito, noi abbiamo derogato per una antica ed endemica malattia di cui adesso tenterò di darvi conto.
Era il 12 aprile del 1633 nulla sapevamo del virus, l’organizzazione mondiale della sanità non esisteva ancora e al governo nel territorio oggi chiamato Italia c’era Urbano VIII. Anche allora la scienza, che per altro era una disciplina assai giovane, si affannava a suggerire soluzioni attraverso dimostrazioni matematiche inconfutabili anteponendo il ragionamento ai preconcetti e le conclusioni ai pregiudizi. Si stava costruendo di fatto la modernità e il libro del nostro scienziato che per la cronaca di chiamava Galileo Galilei ebbe un successo mondiale immediato, da Venezia all’Europa. Fu un best seller diremmo oggi apprezzato da nomi come Tommaso Campanella e Keplero che già basterebbero a chiarire il dramma. L’Italia però fa eccezione. Il governante del tempo non riesce a tollerare l’idea che una dimostrazione possa sovvertire il parere di un potente e indice, se non il primo, certo il più importante processo politico della storia. La lista delle accuse (sono otto per altro futili) è chiara. “Non avere l’imprimatur”, oppure che si tratta di un argomento che non può essere dimostrato per il solo fatto che non è stato precedentemente deciso, la lista delle accuse a Galileo è molto simile alla polemica sul corona virus, fatta di nulla e concentrata solo a difendere un privilegio di potere.
Questo paese ha sempre rifiutato la scienza e il parere del potente deve prefigurare una azione indipendentemente dalla evidenza razionale. Urbano VIII, Salvini, Renzi, Conte si comportano nello stesso modo. Una eccezione al resto del mondo, non per cattiveria o per partito preso, ma semplicemente per sciatteria e ignoranza scientifica. La ignorano, non la considerano degna di decidere; è solo una astrazione di chi ha ragione di essere fino a che resti chiuso nel proprio mondo a filosofeggiare, ma se si applica al mondo reale deve prima dirci quanti voti porta. Il potere non conosce dimostrazione, non conosce ragione, decide in altro modo. Io, in compenso, una cosa credo di averla capita pur non essendo medico: il virus colpisce maggiormente i paesi con una scarsa cultura scientifica condivisa. Attenzione ho detto condivisa, gli scienziati Italiani in tutti i campi sono sempre stati una eccellenza mondiale, ma un paese meritofobico, rifiuta tutto quello che richiede studio e fatica. Forse la fine della pietas e l’inizio di edonè di cui parlava Pasolini c’entra eccome.
Alla fine, oggi (Martedi 25 Febbraio ore 15,30) al 288 esimo contagiato il responsabile dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Prof Ricciardi diventa consulente del governo. Avete presente la chiusura delle stalle dopo la fuga dei buoi?. Buon Lavoro Prof Ricciardi, e se le chiedessero di abiurare si tenga forte, ci siamo abituati
Ho avuto occasione recentemente di curare una mostra costruita intorno alla figura di Emilia Gubitosi e della sua Associazione Scarlatti di cui ho anche scritto su queste pagine. Un gruppo di artisti, di intellettuali, di studiosi, elite culturale della città di Napoli negli anni ’20, si pone un obiettivo civile faticoso e a lungo termine. Vuole rappresentare la grande musica Europea esclusa dalla città, vuole riesumarne le origini Napoletane e tracciare un percorso che unisce culture e rappresenta progresso. Per avere successo deve costruire un pubblico consapevole che non esiste: la coscienza informata di cui parla Pasolini. Non lo fa cercando consensi, non lo fa chiedendo al pubblico cosa più lo appaghi, lo fa perché lo ritiene giusto e lo fa seguendo percorsi, costruendo reti completamente indipendenti dal consenso. Dopo cento anni quelle azioni hanno ridisegnato la vita civile della città che senza la loro avventura non potrebbe vantare il primato che oggi vanta. Forse servirebbe di nuovo una politica che ricostruisse il suo rapporto con la cultura. Arte e scienza sono la guida migliore per costruire il vivere civile di quella comunità che si chiamava Polis e che ha dato vita alla politica.
Un consiglio finale: rileggete Pasolini, è geniale!
PS: Ho pensato più volte guardando la televisione alla mia povera mamma deceduta qualche anno fa perché malata. Era una cultrice della lingua italiana che usava con dovizia e precisione avendola insegnata per decenni. Non so se sarebbe sopravvissuta all’uso costante del termine “impiattare” che la TV propina da anni come attività creativa, forse no, certamente sarebbe deceduta d’infarto ieri quando il verbo “tamponare” è stato usato per indicare un paziente sospetto a cui è stato fatto un prelievo attraverso tampone.
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