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Coronavirus: verso il cancellierato?

La presa di posizione del Partito Radicale fa eco ad alcune preoccupazioni, questa volta non di ordine sanitario, che i provvedimenti adottati per fare fronte alla pandemia di coronavirus hanno suscitato e suscitano nel mondo giuridico prima ancora che in quello politico.

Nessun dubbio a proposito della incidenza dei provvedimenti adottati con proprio decreto dal Presidente del Consiglio dei ministri su alcuni diritti costituzionalmente garantiti, come quello di circolare liberamente nel territorio nazionale (art. 16) di riunirsi in luogo pubblico (art. 17), di svolgere liberamente un’attività economica (art. 42) e così via. La questione non è se quei diritti possano subire limitazioni in nome dell’interesse pubblico alla tutela della salute, anch’esso garantito in costituzione (art. 32), quesito al quale più volte la Corte Costituzionale ha avuto occasione di dare risposta positiva a condizione che la limitazione avvenga per un tempo limitato e sia adeguatamente motivata, ma se ciò possa avvenire con un atto amministrativo quale un decreto del Presidente del Consiglio, sottratto in quanto tale al controllo del Parlamento.

Il Parlamento italiano

È vero che un tale atto è emanato in base ad una norma di legge ed è soggetto al controllo di costituzionalità da parte della Corte Costituzionale, ma è anche vero che il controllo avviene a molta distanza di tempo dalla emanazione dell’atto e che, se la norma che lo autorizza è contenuta in un decreto legge trasmesso al Parlamento per la conversione in legge entro 60 giorni (art. 77 della Costituzione) può avvenire che l’atto del Presidente del Consiglio sia emanato prima che le camere del Parlamento abbiano potuto esprimersi sulla norma che autorizza l’atto stesso.

Non è un caso teorico: è quanto sta avvenendo per i decreti del Presidente del Consiglio emanati dopo il 23 febbraio scorso, data in cui è stato emanato il decreto legge numero 6, non ancora esaminato dal Parlamento, che all’articolo 2 autorizza il Presidente del Consiglio ad emanare le disposizioni attuative del decreto stesso sentiti i ministri interessati.

Due i problemi giuridici:

  • E’ costituzionalmente legittimo attribuire un potere così ampio al Presidente del Consiglio dei ministri cui l’articolo 95 della Costituzione demanda solo il compito di dirigere “la politica generale del governo”?
  • È costituzionalmente legittimo l’ampio spazio lasciato ad un atto amministrativo (il decreto del presidente del consiglio dei ministri) a proposito delle limitazioni a diritti fondamentali stabiliti in Costituzione?

È la prima volta che ciò avviene, almeno con riferimento all’intero territorio nazionale: era proprio indispensabile farlo? Non era preferibile, quanto meno, prevedere una deliberazione di massima del Consiglio dei Ministri sul contenuto dei decreti presidenziali, ciò che avrebbe forse evitato certi episodi di protagonismo sugli schermi televisivi di chi sembra convinto di essere una sorta di ”cancelliere” alla tedesca e non il Presidente del Consiglio di una democrazia parlamentare? Le forze politiche hanno preferito tacere forse per evitare di assumersi precise responsabilità: si sono rese conto del pericoloso precedente introdotto in quel modo nell’ordinamento giuridico?

La presa di posizione del Partito Radicale pone interrogativi non immotivati: cosa farà il Parlamento? Purtroppo c’è sempre chi sogna che esso sia una aula sorda e grigia: è di conforto il fatto che il sogno si è avverato una sola volta.

Intanto i governatori delle regioni parlano, nominano, protestano, si ammalano: alla fine può anche accadere che dimentichino, come è successo ad uno di loro, ciò che ha detto il giorno prima…

La desolazione non deriva solo dal coronavirus.

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Mario Pacelli

Mario Pacelli è stato docente di Diritto pubblico nell'Università di Roma La Sapienza, per lunghi anni funzionario della Camera dei deputati. Ha scritto numerosi studi di storia parlamentare, tra cui Le radici di Montecitorio (1984), Bella gente (1992), Interno Montecitorio (2000), Il colle più alto (2017). Ha collaborato con il «Corriere della Sera» e «Il Messaggero».

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