Ultima notizia del giorno dal Corriere della Sera: “Da Castel Sant’Angelo a Trastevere, i ristoranti della camorra. 13 arresti del clan Moccia”.
Un mercato stravolto dalla pandemia e dal lockdown, una applicazione delle norme dell’emergenza e delle nuove sanzioni senza badare al contesto, un eccesso di tasse, una burocrazia ottusa, una carenza di liquidità sono i fattori che stanno determinando la chiusura del 30% delle imprese commerciali. Lo si deduce da una indagine della confcommercio/swg: delle 800.000 imprese commerciali e dei servizi dopo il lockdown hanno riaperto circa l’80% e in particolare la crisi ha colpito duro su bar e ristoranti per cui hanno potuto tirare su la saracinesca soltanto il 73% con una perdita di ricavi che va dal 50 al 70%.
Una situazione ideale per gli affari della criminalità organizzata. Un allarme di cui si è fatta interprete l’associazione dei consumatori Codici che – a margine del processo al clan Gambacurta di cui aveva chiesto la condanna per associazione a delinquere finalizzata all’usura, allo spaccio e traffico di sostanze stupefacenti – ha voluto esprimere tutto il proprio impegno di contrasto alle attività mafiose nella consapevolezza che se la criminalità, approfittando della vasta crisi in cui versano molte imprese, si impadronisce del sistema economico saltano i presupposti fondamentali della convivenza civile in quanto viene meno l’osservanza di qualunque norma di legge alla quale si sostituiscono le regole della criminalità.
“È necessario presidiare il territorio – ha detto Carmine Laurenzano, avvocato di Codici – Bisogna vigilare, mantenere la guardia altissima, altrimenti si lascerà campo alla malavita, con i cittadini abbandonati al loro destino”.
Servono a questo scopo i decreti sicurezza o nuove leggi? Cominciamo ad applicare quelle esistenti – sostiene Moondo – controllando il territorio, allertando le camere di commercio, sostenendo le forze dell’ordine, utilizzando le tecnologie e le banche-dati, investendo gli ordini professionali di avvocati, commercialisti e notai che spesso sono testimoni silenziosi, e a volte complici, di un processo criminale, accrescendo la coscienza civile dei cittadini iniziando dai più giovani, nelle scuole di ogni ordine e grado, con l’insegnamento dell’educazione civica, che da quest’anno viene reintrodotta in tutti gli istituti scolastici, per promuovere il concetto di legalità quale condizione del vivere civile attraverso protocolli di intesa con le associazioni dei magistrati e degli avvocati, in servizio o in pensione, per illustrare agli alunni l’esigenza del rispetto delle leggi.
Uno Stato che sia realmente vicino ai cittadini, capace di difenderli dalla violenza e dai soprusi, uno Stato che attraverso le direzioni distrettuali antimafia e l’autorità anticorruzione sia in grado, sulla base di segnalazioni delle camere di commercio o di rapporti della guardia di finanza e dei carabinieri, di arrestare tutti coloro che acquistano imprese in difficoltà con risorse finanziarie di indubbia provenienza o addirittura da traffici criminali.
“E’ adesso che inizia la vera sfida dello Stato, ha detto il segretario generale di Codici Ivano Giacomelli. L’attività di controllo e contrasto è importante, ma non basta. Serve anche un’azione decisa e capillare di prevenzione e di aiuto nei confronti dei cittadini in difficoltà, che devono percepire lo Stato come un alleato vicino, non un’entità astratta e lontana. Se non si capisce questo, se non si interviene in questa direzione, fare processi con decine di imputati risulterà inutile, perché alla fine il potere dei clan sarà soltanto scalfito”.
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