Siamo arrivati con i dati di mercoledì 14 ottobre a 6.009 ospedalizzati per COVID (di cui 539 in terapia intensiva). Per dare un termine di paragone: martedì 10 marzo, giorno di entrata in vigore del dpcm che estendeva il lockdown a tutta Italia, i ricoverati erano 5.915 di cui 877 in terapia intensiva.
Certo il ritmo di crescita è diverso: la differenza rispetto al giorno precedente di 419 unità mentre il 10 marzo la differenza rispetto al giorno prima era di 866 unità, ma è comunque elevato (trattandosi di un dato di stock la differenza è pari al saldo tra nuovi ricoverati e dimessi). Anche l’incidenza delle terapie intensive (sul totale dei ricoverati) è per il momento minore (9,0% vs 14,8%) ma anche essa con una tendenza all’aumento.
Se la crescita degli ospedalizzati fosse “lineare” (ipotizziamo 300-400 pazienti in più al giorno) avremmo parecchio tempo prima di arrivare ai livelli massimi (33.000 ricoverati) raggiunti ai primi di aprile ; ma se invece fosse il tasso di crescita (ipotizziamo 6% giorno) ad essere costante allora la soglia massima di ospedalizzazioni di aprile sarebbe superata intorno a metà novembre. I primi problemi di trasferimento dei casi nei reparti dedicati cominciano a manifestarsi e si accentuano le disfunzioni nel trattamento di altre patologie efficacemente descritto, per esperienza personale, da Stefano Rolando su il Moondo.it.
Io non ho nessun elemento per spiegare l’attuale andamento né per prevedere quello futuro. Mi limito ad osservare che il grafico ci mostra come la crescita degli ospedalizzati, iniziata alla metà di agosto, abbia avuto un andamento lineare fino alla fine di settembre per poi accelerare ad ottobre, il che sembrerebbe indicare (tenendo conto del fisiologico “ritardo” delle ospedalizzazioni rispetto ai contagi) che qualcosa verso la metà di settembre sia avvenuto (per esempio la forse improvvida sovrapposizione di ripresa delle attività, inizio delle scuole ed elezioni …).
L’impressione è che ci si sia cullati nell’illusione di un virtuoso “modello italiano” (derivante non si sa bene da che) dedicandosi più alla propaganda che all’effettiva pianificazione delle reazioni alla recrudescenza del contagio. In realtà l’unico “modello virtuoso” tra i grandi paesi europei continua ad essere quello della Germania che ha avuto finora 115 decessi associati al COVID per milione di abitanti contro i 500 della Francia, i 599 dell’Italia, i 634 del regno Unito e i 704 della Spagna.
Sono assolutamente convinto che il prezzo, sociale ed economico, di un nuovo lockdown sarebbe insostenibile. Ma forse qualche intervento un po’ più strategico della limitazione del numero di persone da invitare a cena avrebbe dovuto essere previsto, a partire dal trasporto pubblico.
Logicamente i mezzi di trasporto collettivo sono formidabili moltiplicatori di “contatti” e quindi, potenzialmente, di “contagi”; tanto più che mettono insieme persone che provengono da ambienti diversi (il che aumenta la probabilità che vi siano dei “contagianti”) e dirette ad ambienti diversi (il che aumenta l’effetto di diffusione). Ovviamente un conto è un modernissimo convoglio metropolitano ad ambiente unico e con sistema di ventilazione avanzato e un altro è un vetusto treno pendolari.
Ciò detto credo che si sarebbe dovuto, e ancora si potrebbe, lavorare su tre fronti (+uno): 1) Rinnovo dei sistemi di aerazione, 2) Implementazione di sistemi tecnologicamente avanzati di contingentamento “puntuale” dell’accesso ai mezzi e alle stazioni, 3) incremento del numero dei mezzi (magari utilizzando come ha proposto l’ex viceministro Nencini e come ha fatto la regione Lazio mezzi e uomini delle aziende dei bus turistici). Il “+ uno” sono gli interventi dal lato della domanda che significano: incremento dello smart working, politiche degli orari (per evitare i “picchi” di utilizzo), sostegno temporaneo all’offerta di mezzi alternativi (p.es, bike e scooter sharing).
Magari ci sono altri interventi migliori, ma il punto è: è possibile che tra le tante “task force” non ce ne sia stata una dedicata a questo?
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