Il 10 gennaio 2010, per celebrare il decennale della morte del leader socialista, “Il Tempo” pubblicò l’articolo di Giuseppe Scanni che Moondo ha deciso di rieditare, a testimonianza dell’adesione e partecipazione del giornale all’incontro del 19 gennaio ad Hammamet (N.d.R.)
Chi ha oggi venti anni troverà difficoltà a seguire quanto si scriverà e si dirà da oggi e nei prossimi giorni, rievocando la scomparsa di Bettino Craxi, morto ad Hammameth, in Tunisia, alle 17 del 19 gennaio 2000. Eppure i ventenni d’oggi, ma anche quelli di domani, dovranno parlare di Craxi, perché la sua figura rappresenta un drammatico passaggio tra la fine di un secolo, il ‘900, e l’inizio di un altro; perché sul suo nome si sviluppa oramai da diciotto anni un’irrisolta questione di poteri all’interno delle istituzioni; perché in pochi anni la sua leadership socialista e di governo confuse prima e mise in crisi poi il più grande, influente e autorevole Partito Comunista dell’Occidente, il PCI, aprendo la strada a cambiamenti storici.
La Storia, poiché è figlia della verità, è un fiume carsico che, scorrendo nascosto nelle viscere della terra, crea l’illusione dell’oblio e infine, apparendo alla luce, con gagliardia spazza via falsità, menzogne. Craxi era un figlio del Risorgimento italiano, si professava garibaldino e come tale aveva un amore senza limiti per la patria, era convintamente repubblicano, socialista e internazionalista. Non era massone, ma dei massoni si professava protettore contro chi intendeva limitarne le libertà, nello stesso tempo riuscì a firmare il nuovo Concordato con il Vaticano. Il nuovo Concordato, introducendo l’otto per mille, ha reso la Chiesa cattolica italiana non solo economicamente autosufficiente, ma soprattutto libera di esprimersi sui temi sociali e politici.
Il socialismo di Bettino Craxi fu riformista, democratico, libertario. Un pugno nello stomaco della sinistra italiana conservatrice e gramsciana, culturalmente «diversa» e pubblicamente pronta a rivendicare, grazie alla sua diversità, una superiorità di governo ed etica. Accompagnando Craxi a Ginevra dal 23 al 27 novembre del 1976 assistetti al congresso di Rifondazione della Internazionale Socialista, durante il quale fu eletto presidente Willy Brandt e tra i vicepresidenti, Bettino Craxi. Craxi era stato eletto segretario del Psi soltanto il 14 luglio dello stesso anno. Un famoso corsivista dell’Unità dell’epoca, Fortebraccio, lo definiva «il signor Nulla», la Repubblica di Eugenio Scalfari, lo accusava della terribile colpa d’essere un «socialdemocratico tedesco».
A Ginevra il giovane segretario, che già aveva avuto un ruolo nella vecchia Internazionale, impressionò i partiti presenti per la concreta indicazione di una strada socialista ed occidentale per uscire dalle contraddizioni imposte dalla Guerra Fredda, nell’ambito dell’alleanza occidentale basata sul rispetto dei partner. Ricordo che la sera del 26 novembre l’ex presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, ospite dell’ambasciatore d’Italia e in procinto d’essere nominato — grazie allo stesso Craxi — Presidente Onorario dell’Internazionale, assieme a Nenni, ebbe parole di sincero compiacimento per il giovane segretario socialista. Compiacimento e ringraziamento per l’atteggiamento che i socialisti avevano assunto nei confronti dello scandalo Lockeed, che da scandalo democristiano divenne colpa socialdemocratica con la condanna dell’uomo forte del Psdi, Mario Tanassi.
In pochi anni, passando attraverso la difesa appassionata di una scelta che assicurasse la vita all’onorevole Aldo Moro, Bettino Craxi sconfisse la politica di Compromesso Storico ideata dal segretario comunista Berlinguer e costrinse i comunisti ad affrontare il mare malmestoso della competizione alternativa di una democrazia conflittuale e non consociativa. Dopo aver impedito all’onorevole Andreotti di rieditare un esecutivo appoggiato dai comunisti, Craxi fu incaricato il 10 luglio 1979 di formare il Governo. Sull’aereo militare che ci accompagnava a Strasburgo per la solenne inaugurazione del nuovo Parlamento europeo, per la prima volta eletto a scrutinio universale, chiesi a Craxi cosa ci aspettava.
Mi rispose che l’incarico non sarebbe sfociato in un suo governo, ma che grazie alle consultazioni si poteva lasciare un progetto un po’ più solido al suo successore, in attesa di una nuova occasione. E così accadde, perché alla fine delle consultazioni apparve chiaro che l’onorevole Cossiga avrebbe potuto guidare un governo Dc, Psdi, Pli, appoggiato dall’esterno dai repubblicani e dai socialisti. Il governo Cossiga durò fino ad aprile del 1980, per rinascere con una formula diversa (Dc, Psi, Pri) fino all’ottobre del 1980. L’8 maggio del 1980 morì il potente presidente della Federazione Iugoslava Tito. Il 9 maggio una delegazione nazionale presieduta da Pertini e composta fra gli altri da Craxi e Berlinguer si ritrovò all’aeroporto di Ciampino per partire e partecipare ai funerali dell’illustre capo di stato.
Giunti a Ciampino trovammo Cossiga che attendeva tutti i delegati per salutarli. Dopo qualche convenevole Craxi si accorse che stava entrando nel salone Berlinguer, lo salutò e inventandosi al momento qualcosa di molto importante da dirmi, cominciò a entrare e uscire dalla sala parlandomi velocemente e impedendo a Cossiga di aprire «per caso» un incontro informale con Berlinguer, che sarebbe stato disposto a diminuire le ostilità verso il governo in cambio di un’apertura nei confronti del suo partito. Craxi non lo permise e il secondo governo Cossiga cadde il 18 ottobre del 1980. Si è molto favoleggiato su rapporti conflittuali tra Craxi e Pertini. Craxi, invece, mi ha sempre detto che senza Pertini al Quirinale forse non sarebbe stato nominato Presidente del Consiglio, sicuramente non sarebbe restato al suo posto per quattro anni consecutivi, e, in effetti, nel 1987, dopo che da poco Cossiga era stato nominato Presidente della Repubblica, Craxi fu costretto alle dimissioni, gli fu impedito di andare alle elezioni e fu incaricato di formare un governo elettorale il senatore Fanfani. Craxi governò brillantemente. In politica estera, allargò l’Europa a Spagna, Grecia e Portogallo; fece entrare l’Italia nel G5; riaffermò con Sigonella l’importanza di un’alleanza con gli Stati Uniti basata sulla lealtà e il rispetto tra pari e riaffermò i principi collegati all’installazione degli Euro-missili, necessaria per lo schieramento missilistico antieuropeo dell’Urss; nella politica economica abbassò drasticamente l’inflazione; superò in termini macroeconomici la Gran Bretagna, portando l’Italia per la prima volta al quinto posto tra i paesi industrializzati del mondo, rilanciò il made in Italy, modernizzò l’impresa italiana; in politica interna sbaragliò definitivamente il terrorismo di sinistra, ristabilì il buon vivere nelle città e stroncò l’industria dei rapimenti.
A partire dal 1989 Consigliere speciale, con rango di vice segretario generale, del segretario delle Nazioni Unite, riuscì in quella che era diventata una chimera, mettere d’accordo l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che unanimemente si espresse a favore, su un documento assai complesso che indicava diverse e modulate soluzioni all’aggravamento della crisi economica mondiale, provocata dal Debito. Ancora oggi quel pacchetto di soluzioni è di volta in volta adottato. Come Consigliere dell’Onu provvide fra l’altro alla ricostruzione del Libano (1991) a mirati interventi per la pace e lo sviluppo nei Balcani, in Medio Oriente, nel Corno d’Africa. Questo leader italiano è morto, avendo vicino solo i suoi cari, ad Hammameth, essendogli stato rifiutato persino un salvacondotto per curarsi dalla malattia che lo uccise e che l’onorevole Di Pietro definì «un foruncolone». Questa «brava persona», come l’ha recentemente definito l’onorevole De Mita, è stato accusato e condannato come se fosse un ladro, essendo invece parte integrante di un sistema generale che prevedeva forme irregolari di finanziamento dei partiti. A quest’uomo che ha modernizzato l’Italia, è stato impedito di riformarla istituzionalmente.
Ricordo gli incontri delle delegazioni del Pci dopo la caduta del muro di Berlino, quando oramai era chiaro il fallimento del comunismo a Oriente e Occidente. Occhetto e Fassino chiedevano di non agevolare l’uscita dal partito dei miglioristi, che avevano come leader Napolitano, di non provocare le elezioni anticipate, promettevano in cambio un comune lavoro per la riedificazione di una sinistra democratica all’interno di un comune contenitore internazionale, l’Internazionale Socialista. Tornando da Berlino a bordo di un aereo privato sul quale erano ospitati Occhetto e Napolitano, Craxi mi chiese di parlare con Napolitano per convincere Occhetto a discutere con lui. Dopo qualche reticenza Occhetto si sedette vicino a Craxi, che iniziò a parlare. Occhetto guardava davanti a sé e non proferì parola. Fino a Roma.
La storia dell’aggressione anche fisica e non solo giudiziaria a Craxi è nota e stranota. I comunisti pensarono davvero che una spallata giudiziaria, il cambio di nome e il silenzio sugli orrori del comunismo sarebbero stati dimenticati grazie alla supposta diversità, alla superiorità etica che faceva di Greganti un ladro in proprio e dei socialisti dei ladri professionisti. Pensarono davvero che svendere l’Italia alla migliore finanza angloamericana sarebbe stato un salvacondotto per l’eternità. I fatti ci dicono invece che con Craxi si è amputata la democrazia in Italia e che il segretario socialista l’aveva vista lunga nel 1978 quando partendo da Proudhon e arrivando a Bobbio, passando per Rosselli, Gilas e Russell, aveva tracciato il profilo di una dottrina democratica, laica e pluralista, in contrapposizione con la lezione marxista e i concetti di libertà collettiva e di egemonia gramsciana. La modernità della sinistra, il tentativo di riformare l’Italia, sono valse per Craxi l’esilio e la morte. L’Italia sta, però, iniziando a capire. Dopo la scomparsa del Partito Socialista, convinto che in un futuro lontano (dieci anni) i socialisti avrebbero ripreso il loro ruolo, nei miei soggiorni ad Hammameth, Bettino mi invogliava a tenere accesa «la fiammella», come quelli del Movimento Sociale, mi diceva – proprio lui che per primo aveva sdoganato nel 1983 Almirante ed il suo partito. Fiducia nei giovani e tutti gli altri a casa o a far da consiglieri, suggeriva. Così non è stato e i risultati sono sotto gli occhi di vuol vedere.
Una sola nota personale vorrei aggiungere. Io non riesco ad andare in Tunisia, perché mi si stringe il cuore. Aspetto il momento nel quale ciascuno, illuminato, incontrerà i risorti e potrò allora dire: Ciao, Bettino.
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