Conte voleva da Salvini e Di Maio carta bianca per trattare con l’Europa. Nel vertice di ieri non l’ha ottenuta: «Allo scoccare della mezzanotte, nel cortile di Palazzo Chigi si materializzano solo i due vicepremier. Si stringono la mano, vogliono farsi vedere dai cronisti. “Andiamo avanti”. È il segnale che qualcosa è andato storto. Di Giuseppe Conte non c’è traccia. E neanche del mandato pieno richiesto dal premier per trattare con l’Europa. Dall’auto blu che deve riaccompagnarlo da Francesca Verdini, il ministro dell’Interno detta la nota che gela il premier. “L’obiettivo comune è evitare la procedura d’infrazione. Garantendo la crescita, il diritto al lavoro e il taglio delle tasse”. E poi, per essere più chiaro: “Non ci sarà nessuna manovra correttiva e nessun aumento delle tasse”. Uno schiaffo all’invito alla ragionevolezza di Conte e alle condizioni dettate da Bruxelles.
E dire che l’avvocato ci prova fino all’ultimo a ottenere l’investitura richiesta. Nella notte di Palazzo Chigi, cerca di trasformare la debolezza in un punto di forza. Ascolta i suoi due vicepremier che chiedono battaglia contro l’Unione, poi contrattacca. “Forse pensate che io non faccia sul serio, ma vi sbagliate. Non metterò la faccia su una procedura d’infrazione. Chi ci aiuterà a evitarla e a cambiare le regole Ue, Orbàn e Le Pen? Non credo. Dovrò trattare io. Senza un vostro mandato pieno, mi dimetto”. Minaccia Salvini di caricare sulle sue spalle la responsabilità di una devastante procedura d’infrazione europea. E ipotizza un passo indietro immediato, lasciando a un altro premier non gialloverde – anche privo della fiducia delle Camere – la responsabilità di traghettare il Paese alle urne a settembre. Ottiene soltanto il gelo dei suoi vice» [Ciriaco, Rep].
«Le elezioni europee hanno frantumato l’equilibrio, peraltro bizzarro, tra Cinque Stelle e Lega, sicché l’avvocato del popolo, voluto e indicato a Palazzo Chigi dai “grillini”, si è reso conto che per sopravvivere doveva interpretare un altro ruolo. Il premier che vorrebbe essere percepito da un giorno all’altro come guida di un governo non più politico ma istituzionale, in base a un gioco di prestigio, sta giocando con una certa abilità le sue carte, non avendo nulla da perdere. Chi dà l’idea di avere in mano un poker d’assi e di non sapere che farci, è proprio Salvini. È come se temesse le elezioni anticipate. Vincere con FdI, i resti di Forza Italia e qualche volenteroso gli imporrebbe dei vincoli precisi, primo fra tutti governare il Paese da un ufficio di Palazzo Chigi, anziché attraverso i selfie scattati nelle feste paesane come accade oggi. E da lì, dal palazzo, dovrebbe gestire il disastro dei conti pubblici. Troppo per un politico astuto, ma di certo non uno statista. Ecco allora che Salvini pare alquanto disponibile ad allungare la vita della legislatura alla fine dell’anno. È per questo che Conte può convincersi che la sua seconda vita di premier istituzionale “mattarelliano” è diventata plausibile: è Salvini, con la sua indecisione, a permettergli di crederlo» [Folli, Rep].
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